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La normalità di “Un posto al sole”

2 Luglio 2011
di Franca Chiaromonte

Io vedo dall’inizio “Un  posto al sole”.  Vedo la prima soap tutta italiana dalla prima puntata (3300 puntate, una più una meno, tutti i giorni tranne il sabato e la domenica, per quindici stagioni) che era alle 19,30. Quando lo dico i presenti mi guardano con compassione. Quasi fossi pazza. Io e tante altre/altri. I miei detrattori immaginano che le puntate di “Un posto al sole” siano ripetitive, sdolcinate, fuori dal mondo. Ora avviene – evento di questi giorni – che la perfida Marina, dopo svariati amori maschili, si innamori di una donna.

Non volevo crederci. La storia sarebbe stata solo accennata. Invece, capita. Con qualche ansia di più di Marina. Pensate che sia una roba hard? Macché. Una cosa che succede. Adesso la Rai lo registra. Come nelle prime puntate di “Un posto al sole” si adombravano storie tra uomini. Senza scandalo, senza moralismi, senza eccessi.

Non siamo nella Capri del barone Fersen. Siamo in una Napoli complicata dove, accanto ai giovani arrabbiati (non solo camorristi) che spargono i rifiuti per le strade, tirandoli fuori dai sacchetti di plastica, ci sono i giovani che puliscono le strade.  Un contrasto stridente. Viene voglia di dire: non potremmo avere una Napoli normale? Sembra proprio di no, che non possiamo averla. Qui, in questa città bellissima, si muovono i camorristi e i cittadini onesti; i cattivi e i buoni. Gomito a gomito. Seguono il flusso della corrente. Come Marina. Che di fondo non cambia. Mentre Napoli è cambiata, altro che è cambiata.

 

 

 

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