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relazioni politiche, dal quartiere al mondo

I magistrati e il potere femminile

22 Luglio 2011
di Letizia Paolozzi

Nelle giunte a Torino, Firenze, Milano, Bologna il 50 % sono donne. A Roma no. Per questo il Tar annulla la giunta. Esce un maschio (vicesindaco); entra al suo posto una femmina. Ottima, questa “innovazione dall’alto” (Aldo Bonomi sul “Sole 24 Ore”). Per Marina Terragni su Facebook che ha parlato di “spirito del tempo”, si tratta di sentenza esemplare.
C’è voluto il combinato disposto tra rivendicazioni femminili contro la loro “sottorappresentazione” e la sentenza dei giudici amministrativi di primo grado perché al Campidoglio compaia una rappresentanza del gentil sesso.
Ma Sveva Belviso, neovicesindaca, ne dubita. “E’ mortificante essere difesa in quanto donna”. Ai suoi occhi non deve avere grande interesse lasciare nell’amministrazione il segno della differenza femminile. Molte si comportano come lei, convinte che in democrazia siamo tutti (e tutte) cittadini.
La democrazia in Italia patisce svariati dolori. Se è vero che la società, secondo i recenti approfondimenti del Censis, non possiede più un’etica condivisa. Aumentano le forme di violenza e di trasgressione delle regole; non ci sono filtri sociali; l’opinione pubblica pensa solo all’interesse individuale; lo sforzo e l’impegno vengono giudicati roba da nonnetti superati (mentre, per battere cassa, lo Stato si rivolge al Poker online annunciato nella nuova manovra finanziaria, poi tolto, forse solo slittato, che verrà probabilmente reinserito in qualche emendamento a fine mese, prima delle vacanze).
Naturalmente, ci sono anche segnali opposti. I risultati dei referendum; i gruppi che si associano per scopi solidali, i luoghi di pratiche politiche femministe interessanti. In questa cartografia contradditoria, ci sono donne che chiedono aiuto alla giustizia affinché il potere venga distribuito in modo meno squilibrato. Che non pesi da una parte sola. D’altronde, negli spazi traballanti del potere economico, politico, l’ultima parola oggi ce l’hanno non gli imprenditori, i sindacalisti, i parlamentari, i sindaci. Ma i magistrati.
Nello stesso giorno i giudici hanno chiesto alle Camere l’autorizzazione all’arresto di due parlamentari, il senatore Alberto Tedesco (PD) e il deputato Alfonso Papa (PdL); hanno mosso a Silvio Berlusconi l’accusa per abuso d’ufficio per aver cercato con diciotto telefonate (tentativo peraltro vano) di far sospendere la trasmissione di Michele Santoro,  Annozero. Il procuratore di Milano ha aperto una inchiesta a carico del direttore di “Libero” Maurizio Belpietro per una vignetta pubblicata sulla prima pagina del suo quotidiano, ritenuta offensiva nei confronti del Presidente della Repubblica. All’incirca nelle stesse ore viene indagato per corruzione e concussione il vicepresidente del consiglio regionale della Lombardia per il Partito democratico e già presidente della Provincia di Milano, Filippo Penati. Nel frattempo, la procura di Trani (insieme a quelle di Milano e di Roma) ha acceso un faro sulla speculazione.
I magistrati devono evitare di “cedere a fuorvianti esposizioni mediatiche” ha detto il Presidente della Repubblica. I magistrati pensano di essere chiamati a puntellare la debolezza della politica e l’assenza di autorità dei politici.
Da cosa dipende questa assenza di autorità? Da una legge elettorale che non produce cambiamento del ceto politico se non al ribasso: parlamentari, spesso non di specchiata virtù, tirati fuori dal cilindro del Porcellum. Da un rifiuto corporativo e insipiente di quanto sia importante e urgente dare una risposta anche simbolica contro i privilegi della “casta”, veri o presunti che siano. Dall’estensione della corruzione; dallo scontro interno alla maggioranza Pdl-Lega; da un Berlusconi indebolito; da una minoranza a corto di idee, se non fosse quella di mandare via Berlusconi.
Data la situazione, bisognerebbe avere estrema attenzione a impedire la delegittimazione della politica, senza lasciarsi travolgere dalle pressioni dell’opinione pubblica o condizionare dai messaggi del circuito mediatico-giudiziario. Per questo è importante il linguaggio. Ma non pare rendersene conto il segretario del Pd, Bersani, che dice: “Votiamo compatti come un sol uomo” o la presidente del Pd, Rosy Bindi: “Se si dovesse verificare la negazione all’arresto di Papa e Tedesco, il Pd compierà gesti eclatanti, estremi…» senza neppure accennare ai dubbi sul ricorso e l’abuso della custodia cautelare, sull’uso massiccio di un istituto per cui migliaia di poveracci vengono sbattuti in galera prima del processo. E che vadano in galera anche dei potenti è veramente una magra consolazione.
Torniamo a noi, al potere femminile. In questa democrazia sbilenca e fragilissima, dove sono i giudici a decidere sull’ingresso delle donne nei luoghi – weberianamente parlando – della decisione e della responsabilità (saranno poi molto diversi dalla “stanza dei bottoni” di Pietro Nenni che sappiamo come andò a finire?), sarebbe bene interrogarsi sul potere che vogliamo. Cosa che il femminismo ha fatto e continua a fare. Non si capisce dunque perché ogni volta dovremmo ricominciare da zero.  E non mi basta che si dica: nei luoghi del potere metteteci le donne.

 

 

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