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Lo scandalo della gonna che vola

29 Giugno 2011
Pubblicato il 29 giugno 2011 su "Europa"
di Franca Fossati

Ho provato a digitare su google “cambia il vento manifesto pd”: 355 mila risultati! La polemica sul vento e la gonna in stile Marilyn che annuncia la festa del Pd romano, cresce e si propaga sulla rete dopo aver nutrito qualche cronaca succosa dei quotidiani.
A iniziarla l’ormai famoso comitato “Se non ora quando” che rilancia così l’invito a Siena per l’8 e 9 luglio dove, secondo l’Unità, (28 giugno), dovrebbe “rinascere” il femminismo.
Siamo di nuovo all’ “uso strumentale del corpo femminile”?
Il manifesto “rivela la totale incomprensione di quel cambiamento che si vorrebbe rappresentare” (Bia Sarasini, donnealtri.it)?
E’ “discriminante e offensivo per la dignità delle donne?” (Caterina Soffici, Il Fatto quotidiano, 25 giugno)?
Della proprietaria delle gambe incriminate non si mostra la testa: ecco la prova. E se si fosse mostrata? Mettiamo che, insieme alle gambe, ci fosse una bella faccia di attrice, come nello spot di Comencini, sarebbe stato meglio? In molte avrebbero detto: eccoci di nuovo sottomesse alla dittatura della bellezza.
Se fosse stata bruttina o insignificante, senza trucco come ci svegliamo la mattina, altre avrebbero polemizzato: e perché mai le donne di sinistra devono sembrare prive di sex appeal, quasi a dar ragione a Ignazio La Russa? O addirittura: perché scegliere una donna per mostrare che il vento (politico) sta girando?
Ma se si fosse fatto un manifesto con un robusto e sorridente giovanotto, o peggio mostrando le sue gambe pelosette, non si sarebbe detto: guarda un po’, ancora una volta si ignorano le donne e il loro contributo decisivo al cambiamento?
L’autore del manifesto della gonna, Andrea Santoro, balbetta una giustificazione: ma non vi siete accorte che la ragazza calza delle ballerine, mica dei tacchi a spillo (24 giugno, Corriere della sera)? E qui siamo addirittura alla criminalizzazione dei tacchi.
L’anno scorso, d’altra parte, fece scandalo il manifesto che mostrava un’audace scarpa rossa con tacco a spillo e recitava: “mi iscrivo a Rifondazione comunista perché sono una donna di classe”. “Simbolo di un vuoto culturale” fu definito sul sito del Paese delle donne. Per non parlare di quanto fu rinfacciata la minigonna che propagandava l’Unità di Concita De Gregorio.
Il fatto è che non c’è pacificazione nel mondo femminile riguardo alla rappresentazione del corpo di donna. Così la protesta (e la censura) contro tutto ciò che sa di stereotipo diviene minimo comune denominatore. Minimo, però. Come scrivono Letizia Paolozzi e Franca Chiaromonte (donnealtri.it) il punto è qui: “sul compito (politico) che si sono date quante hanno protestato”.

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