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produrre e consumare tra pubblico e privato

La cura e i miliardi scippati alle donne

1 Giugno 2011
Pubblicato il 1 giugno 2011 su "Europa"
di Franca Fossati

Quattro miliardi di euro: vi sembran pochi? Sono il frutto del risparmio (in dieci anni) per l’innalzamento dell’età pensionabile delle donne nel pubblico impiego. Erano destinati a favorire l’inclusione delle donne nel mercato del lavoro, per la conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro, per sostenere le persone non autosufficenti (ingenere.it).
Dove sono finiti?
I 120 milioni di euro del 2010 sono sfumati e dei 242 del 2011 non c’è traccia nei documenti governativi. Uno “scippo legale” denuncia Emma Bonino (la Stampa, 29 maggio) che con l’Associazione Pariodispare si è fatta capofila di un appello a cui hanno già aderito numerose associazioni femminili. L’iniziativa parlamentare per riottenere l’assegnazione dei fondi non basta, ne è convinta Bonino: serve una mobilitazione. Concorda Francesca Izzo, tra le promotrici della manifestazione delle donne del 13 febbraio, ma dice “la strada è lunga, c’è una coscienza ancora da sviluppare su questi temi”.
Eppure il Rapporto Istat ha detto come stanno le cose: le donne italiane sono disoccupate o sottoccupate fuori, mentre dentro, in casa, sono spremute all’osso nel lavoro di cura e nell’assistenza (Repubblica, 23 maggio). 800 mila donne hanno dichiarato di essere state licenziate o costrette a dimettersi perché in attesa di un figlio; la disparità salariale tra donne e uomini e il part time femminile “involontario” sono aumentati.
Che cosa si aspetta a protestare?
La difficoltà a farne ragione di movimento e lotta è nel fatto che, come scrive Letizia Paolozzi, “la cura è una scelta, non solo un destino”? Ha ragione: “nell’altalena femminile tra lavoro e vita c’è qualcosa in più. Un resto che la socializzazione totale, i servizi organizzati, il personale a pagamento non bastano a cancellare”.
Ma, scrive Lea Melandri, “è dalla capacità biologica di fare figli, dalla maternità, che vengono fatte discendere, deterministicamente, le doti tradizionali femminili: riproduzione della vita, dedizione all’altro, capacità di ascolto e di mediazione dei conflitti, responsabilità della casa e della famiglia” (donnealtri.it).
Lo stesso concetto esprime, più bruscamente, Alessia Mosca, deputata PD: “la sola esclusiva delle donne è il momento del parto. Nulla dice che è nel loro dna portare il figlio all’asilo e occuparsi dei genitori anziani”.
Quindi?
“Più che elaborare strumenti di sostegno per le donne si tratta di portare gli uomini al centro delle dinamiche familiari” (Corriere della sera, 30 maggio).
Il dibattito è, come sempre, aperto. Ma chiunque sia a portare i bambini all’asilo, sarebbe bene che gli asili ci fossero e quindi che quei quattro miliardi tornassero al loro posto.

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