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Una casa dopo il terremoto

10 Maggio 2011
di Bia Sarasini

Occupare una casa all’Aquila. Un atto simbolico, un gesto politico. Scegliere una Casa delle donne nella città tutta da ricostruire, nella città che a due anni dal terremoto non ha ancora un piano di ricostruzione, per il quale il governo non ha ancora preparato una legge che lo finanzi. Una casa dopo il terremoto. È successo il 5 maggio scorso all’Aquila, è stato il gesto inaugurale dell’incontro voluto dalle donne Terre-Mutate, che hanno invitato tutte a sostenerle nel loro progetto, nel desiderio di una casa che sia loro e di tutta la città. E all’Aquila le donne sono venute da tutta Italia il 7 e l’8 maggio, per rispondere al loro invito. Vogliamo mostrarvi quello che non passa in televisione, aveva scritto il comitato promotore (Donne in nero, Biblioteca delle donne Melusine e il Centro antiviolenza, tutti dell’Aquila e la rivista Leggendaria), farvi vedere la città che in tanti hanno guardato senza vederla veramente. Così sono arrivate in circa seicento delle più varie provenienze – Trieste, Napoli, Bolzano, Roma, da Torino, Vicenza, Brescia, Livorno, Milano, Ravenna, Venezia, Firenze, Fano, Verona, Grosseto. Per due giorni hanno tessuto un fitta trama di incontri, riflessioni, osservazioni, esplorazioni della città insieme alle aquilane.

Una chiamata che ha colpito nel segno, un risultato entusiasmante, che dà la carica. Perché tutte insieme, dalle Donne in nero alle donne del presidio Nodalmolin di Vicenza, dalle donne di vari Centri antiviolenza a quelle dei comitati per la gestione dei rifiuti di Napoli, si è trovata la passione e il piacere di un fare politica concreto, che parte dalla propria esperienza. Nella speranza che il comitato sappia trovare la strada, la forza e la pazienza per costruire un rapporto con le istituzioni della città, a cominciare dal sindaco, che pure aveva dato il suo patrocinio. E trovare relazioni costruttive anche con gli uomini della città, che pure hanno seguito con attenzione le iniziative in piazza. Sarebbe uno spreco se tante idee, tanta energia non si trasformassero in capacità politica di gestire – insieme a tutti – la città. Che si trova in un passaggio difficile, quello dello sconforto e della rinuncia.

Il giorno dopo, il 6 maggio, Luisella Veroli nello spazio della Fontana delle 99 cannelle ha guidato un rito di rifondazione femminile della città «la prima volta che succede in Italia». Un’esperienza coinvolgente. Sia per chi ha assistito, sia per chi si è trovata all’interno della fila-serpente annodata su se stessa che ha sperimentato la fatica di sciogliersi dal dolore della perdita per aprirsi alla nuova città, alla nuova vita. A quel punto le aquilane, la città erano pronte all’incontro con le donne venute da fuori, il 7 e l’8 maggio. Una presenza forte in un centro storico che prima del loro arrivo colpiva per il silenzio e il vuoto, anche nelle piazze e nelle strade che ora sono agibili. «È la prima volta che tante persone vengono a vedere come stanno le cose, a parlare con noi, ascoltarci» è il commento che ho raccolto al volo la domenica mattina (7 maggio) in piazza Duomo mentre si muoveva il corteo guidato dal coro del gruppo di resistenza musicale permanente che andava verso piazza Palazzo per chiudere la manifestazione davanti alla “casa occupata” con Giovanna Marturano, partigiana di 99 anni che ha esaltato il coraggio e la forza delle donne Terre-Mutate. A parlare era un gruppo di donne e uomini aquilani che non avevano partecipato ai lavori, molto contenti di constatare un interesse per loro, la loro città. Qualcosa che dà fiducia, mi hanno detto, e la fiducia qui si è persa, stiamo tutti sparsi, lontani. «Veniamo la domenica. Veniamo per vedere le nostre strade. I nostri posti»

Duro l’impatto con la zona chiusa, tra il silenzio e l’odore di cose finite, e lo strano effetto di rovine tenute insieme da puntelli che sono quasi una seconda pelle, una fasciatura che nasconde il crollo. «Dietro queste facciate c’è il vuoto, l’interno è imploso» ha spiegato l’architetto Camilla Inverardi, che ha guidato i gruppi nella zona proibita «non si capisce perchè si è tenuto in piedi anche quello che si dovrà per forza abbattere. Non c’è un progetto. Eppure le possibilità sono immense. Si potrebbe farne una città medievale e supertecnologica». Altrettanto sconvolgenti quelle che tutti chiamano “le casette”. Perfino carine, nel sembrare case di montagna. Ma tutte piene, tutte arredate, nessuno ha potuto portare nulla da casa propria. Come invece era successo a Gemona, nel Friuli, dopo il terremoto del 1976, come era stato raccontato e scambiato in un incontro dello scorso marzo proprio a Gemona (organizzato da Leggendaria con la collaborazione di Maria Carminati)), e le aquilane di Terre-Mutate. Non ci sono piazze, spazi, nulla dove poter stare. E alla fine l’unico luogo di incontro, per esempio per i ragazzi, sono i garage dei centri commerciali. Condividere l’esperienza di questi luoghi, di questi spazi pensati e gestiti da altri, è stata la base del confronto andato in scena per due giorni nelle stanze preparate dalle donne Terre-Mutate, insieme al contributo di artiste come Agostina Zwillig con la sua installazione Second Body, e le serate di musica e poesia, con Ida Travi, Le calicante di Bologna, le Apparenti stonature di Volterra. Allora, le stanze di discussione. In camera da letto si è parlato di corpi violati e corpi desideranti. La cucina era dedicata alla cultura come antidoto al mercantilismo, il giardino luogo del consumo sostenibile, il soggiorno sede dei beni comuni e della legalità, la biblioteca, donne in resistenza contro la militarizzazione dei territori. Come a volte avviene, il filo è stato comune, e comune il desiderio di trovare pratiche e azioni politiche da condividere, per fare dell’Aquila, è stato detto, un punto di partenza per tutta l’Italia.

«Per ricostruire» è stato detto «occorrono progetti che partano dalle relazioni, dalle cura dell’esistenza, dalla vita quotidiana». Il contrario di quanto sta avvenendo all’Aquila, dove tutto è stata imposto dall’alto, con un piano già pre-ordinato. E per questo è preziosa l’esperienza delle donne. «Per una politica che parta dall’esperienza della resistenza, resistenza alla violazione, della terra come dei corpi. Una resistenza che è resilienza, cioè creativa, attiva» si è detto nelle stanze. Per cui le donne possono trovare pensieri e parole che si rivolgono a tutti. «Perché la resistenza delle donne è insistenza sull’esistenza di pratiche». Per rifondare non soltanto L’Aquila, ma tutte le realtà terre-mutate che esistono. Tutte le terre, i territori depredati, sviliti. Alcuni obiettivi sono immediati. Una lettera alla ministra delle Pari Opportunità Mara Carfagna, dei centri antiviolenza, il sostegno al referendum per l’acqua. L’Aquila viene da acqua, non dall’aquila federiciana. L’acqua, bene comune nelle terre-mutate.

Questo articolo è stato pubblicato in una versione più breve da Il Manifesto

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