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relazioni politiche, dal quartiere al mondo

E gli elettori presero le distanze…

19 Maggio 2011
di Letizia Paolozzi

Bisogna aspettare i ballottaggi. Evitando di astrologare. Il secondo turno in effetti è una nuova tornata elettorale. Qualcosa tuttavia proviamo a dirla. Intanto questo voto sembra suggerire che nel Paese si ha voglia di far uscire la politica da uno stato di coma. Cercare altre strade, invertire il “declinismo” (insopportabile parola, ma tant’è, la usano i sociologi, i politologi, i sondaggisti).
Viene così scossa quell’immobilità che sembrava il destino politico italiano. Per questo una lettura che “si preoccupa” di una vittoria degli estremismi (questo voto non ha nulla di religioso) non è convincente.
Almeno non si può chiamare estremista Giuliano Pisapia e Milano, pur “città moderata; figurati se voteranno uno di Rifondazione comunista; ormai qui contano solo i commercianti…”, ha dimostrato di non crederci.
Ma allora, a Napoli dove ha vinto “lo sbirro, giustizialista, sceriffo” Luigi De Magistris? Conosco chi (amici, amiche robustamente riformiste) non vuole votarlo. Saranno pur vere le accuse all’ex magistrato dell’Idv, ma il Pd, magna pars nel governo di Napoli, lascia una città allo sfascio. Con molta rabbia, un bisogno di legalità e l’aspirazione a voltare pagina. Forse da qui bisogna ripartire considerando che, se si sommano i voti Idv e Pd, il centrodestra potrebbe pure perdere.
In linea generale, a me questo pare un voto che prende le distanze.
Dalla Lega, della quale si arresta la marcia. Da Berlusconi e forse dal berlusconismo. Gli elettori hanno fatto capire di non poterne più delle risse, del disinteresse per i problemi materiali, di una politica basata sul marketing.
Anche se non credo che il minor favore con cui gli elettori hanno risposto al Pdl vada scambiato con la faccia d’odio dell’antiberlusconismo che acceca una certa sinistra.
Certo, dai e dai l’indulgenza con la quale molti hanno seguito il Cavaliere, si è dissolta.
Può dipendere dalle promesse del ’94 (riforme, liberalismo, meritocrazia) che si sono tramutate in un bla-bla-bla demagogico, dalla svalorizzazione del ruolo istituzionale, dai pasticci in politica estera (gli affari con “l’amico” Putin; il baciamano a Gheddafi). Dai segni del lusso (“Mi compro anche una villa a Lampedusa”) o dalle ricette miracolose sempre di più vissute come lontananza dalla realtà e dalle difficoltà della gente.
Però guardate, secondo me c’è anche altro nelle attuali difficoltà di Berlusconi. C’è che la storia delle sue vicende a carattere compulsivo-sessuale non è poi così piaciuta come il premier supponeva. Non ha funzionato la sua volontà manifesta di tornare a un ordine perduto dove le donne sarebbero a disposizione dell’uomo potente; ha stancato la noncuranza del suo comportamento: “Meglio amare le donne che essere gay”.
Nel consumo seriale per mezzo di denaro e favori di corpi femminili si è consumata qualsiasi possibilità di un gioco seduttivo.
Eppure, ha ragione Ida Dominijanni nel suo commento sul “Manifesto”, fra le tante motivazioni sulla crisi del berlusconismo che affollano le pagine di giornali, di questo “tema” non si parla.
Per evitare di scivolare nella condanna moralistica?
Peccato. Perdiamo un’occasione per analizzare come un certo modo di atteggiarsi degli uomini nei confronti delle donne abbia un significato politico. E la debolezza simbolica di certi atteggiamenti.

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