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relazioni politiche, dal quartiere al mondo

Il dittatore, le donne, la guerra

24 Marzo 2011
Pubblicato il 23 marzo 2011 su "Europa"
di Franca Fossati

Gheddafi aveva detto alle hostess radunate a Roma per ascoltare la sua “lezione”: la donna in Libia è più rispettata che in Occidente. Alcune, che hanno avuto il privilegio di essere sue ospiti a Tripoli, pare abbiano dichiarato al ritorno dal viaggio: “Siamo state trattate come regine” (blitz quotidiano.it). Non c’è da stupirsi, quindi, che vogliano organizzare una manifestazione in suo sostegno (Secolo d’Italia, 22 marzo).
Certo dell’ aiuto femminile è lo stesso raiss che tuona: “Anche se ucciderete l’ultimo uomo scenderanno in campo le nostre donne. E sarete costretti a combattere contro di loro. Vergogna! Sarà un’onta sulla vostra fronte aver combattuto contro delle donne”. In Libia il servizio militare femminile è obbligatorio, la poligamia vietata e l’istruzione gratuita (Corriere della sera, 21 marzo).
Eppure erano donne coloro che ogni sabato dal 2008 manifestavano a Bengasi per chiedere giustizia per mariti, figli, fratelli uccisi nel 1996 nel carcere di Abu Salim. Ed era una piazza di donne quella che nei giorni scorsi sempre a Bengasi invocava la No fly zone. Velate perché, spiegano alcune ribelli, riaffermare la tradizione è un modo per opporsi al dittatore (notizie.tiscali.it, 28 febbraio).
Dall’altra parte del mondo sarebbero state tre donne, secondo il New York Times (19 marzo), a convincere il Presidente Obama all’intervento militare. Susan Rice, Hillary Clinton e Samantha Power. La Rice, ambasciatrice all’Onu, consigliera di Bill Clinton per l’Africa, non si perdonerebbe di non aver impedito il genocidio in Ruanda, così come la stessa Hillary, che appoggiò il marito nella decisione di non intervenire. La Power d’altra parte, oggi assistente del Consiglio per la Sicurezza, come giornalista fu testimone dell’impotenza occidentale di fronte alle stragi nella ex Iugoslavia.
E’ un senso di colpa tutto femminile che ha spinto alla guerra umanitaria?
Non vedono niente di umanitario nella scelta militare alcune femministe. “Almeno parliamone” esorta Ada Donno, “vorrei leggere prese di distanza indignate e sapienti di donne da questa nuova guerra per il petrolio che ancora una volta prende a pretesto i diritti umani di un popolo”. “Dove è finito quel concetto di risoluzione dei conflitti chiamato interposizione fra contendenti?” si chiede Floriana Lipparini (Il Paese delle donne on line).
Vincenza Perilli osserva sul suo blog (Marginalia) che l’intervento militare avviene proprio nel centenario dell’invasione coloniale della Libia (5 ottobre 1911). “Sono contraria alla guerra –dice una lettrice all’Unità (22marzo)- ma se ti chiedono aiuto che fai?”.

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