Voglio rispondere intanto brevemente all’osservazione di Anna Bravo: a uscire devastata dal Rubygate è l’immagine maschile, e nessun uomo ha sentito il bisogno di difendere la dignità del genere maschile.
Sono d’accordo sulla prima parte dell’osservazione. Berlusconi, con i suoi amici (Fede, Lele Mora, Rossella…), e tanti altri uomini di potere e di affari, stanno mettendo in scena una immagine oscena, molto avvilente e deprimente del maschile. Sono convinto, e ho cercato anche insieme ad altri e altre di argomentarlo e comunicarlo, che lo spicco spettacolare e simbolico che da qualche tempo ha assunto il ricorso alla prostituzione nei luoghi del potere è un altro segno della generale fase di crisi e tramonto delle forme tradizionali dell’autorità maschile. Qualcosa che ha molto a che fare con la crisi o la fine del patriarcato. Non per caso, intorno alla recente pessimistica analisi del Censis, si è tornati a parlare di “evaporazione del padre”.
Da questo punto di vista non condivido tanti discorsi che sento fare, a sinistra, sul potere immenso di corruzione delle coscienze di Berlusconi e del berlusconismo: ne stiamo vedendo ora tutta la pochezza grottesca, già segnalata con inesorabile concisione dalla moglie Veronica. Semmai bisognerebbe interrogarsi di più sul perché i critici del berlusconismo non riescano a mettere in campo una visione e rappresentazione diversa e più efficace della realtà italiana. Credo che ciò avvenga, in parte, perché partecipano sia pure con modalità diverse della medesima crisi di autorità (si pensi al ruolo della Chiesa: quando ha alzato qualche obiezioni critica a Berlusconi qualcuno dei suoi ha subito rinfacciato al Papa lo scandalo della pedofilia…).
Penso invece che non sia del tutto vero che nessun uomo ha sentito il bisogno di “difendere la dignità maschile”. Certo metterla proprio in questi termini è difficile: infatti non credo esista più una forma certa di questa dignità, proprio perché i mutamenti radicali nel rapporto tra i sessi provocati soprattutto dalla rivoluzione femminile hanno destrutturato identità e ruoli maschili codificati. Si tratterebbe di prenderne atto e di intraprendere una nuova costruzione del sé maschile. Senza rimuovere il fatto che i comportamenti di Berlusconi alludono a un immaginario sessuale maschile che non rappresenta certo un’eccezione.
Credo però che una qualche consapevolezza si stia allargando tra gli uomini. Alcuni maschi che hanno uno “statuto spettacolare” cercano ormai di fare un discorso critico sul maschilismo e sui suoi riflessi sulla politica e il potere. In forme naturalmente più o meno condivisibili. Da Gad Lerner a Adriano Sofri (vedi l’articolo uscito su Repubblica mercoledì 26 in risposta a Ostellino e Ferrara), fino ai duetti di Fabio Fazio con Luciana Litizzetto e a Antonio Albanese con il suo più che tempestivo Cetto Laqualunque. Gli esempi potrebbero continuare: ormai esiste con una certa ampiezza quella che si potrebbe definire una letteratura maschile “postpatriarcale”.
Da alcuni anni, inoltre, si è ritrovata in Italia – ma esperienze simili sono diffuse anche in altri paesi – una rete di uomini che si riferisce in vari modi al nome e all’associazione “maschile plurale”, che sta cercando di sviluppare un’autoriflessione critica sui modelli maschili, e che si impegna su terreni difficili, quali la presa di coscienza sulla violenza maschile contro le donne, l’interrogazione sulla diffusione della prostituzione, la ricerca di nuove pratiche politiche rispetto a quelle dei partiti, così condizionati dalla prevalenza di un ceto maschile in drammatico declino.
E’ il frutto soprattutto di scambi intensi tra uomini e donne del femminismo lungo alcuni decenni: uno scambio che forse andrebbe ulteriormente sviluppato.
Per aggiungere ulteriori considerazioni pubblico qui sotto un articolo più lungo in cui recentemente ho rielaborato altri brevi scritti su questi argomenti e, a parte, un articolo di Stefano Ciccone dal sito maschileplurale.it, che dovrebbe apparire oggi anche sul settimanale “Gli Altri”.
Il Padre osceno (*)
Per Marx nel moderno la soddisfazione è solo volgare – Nel “laboratorio” trash italiano: la prostituzione nel potere metafora del declino dell’autorità maschile – Un seminario sull’”oscuro soggetto del desiderio” svolto da Maschileplurale – Il dibattito aperto dal Censis e sviluppato sul “manifesto”: il “discorso del capitalista” e l’”evaporazione del padre”- Un conto aperto dal ’68 per gli uomini di sinistra.
(*) Questo testo, pubblicato sul n.6 – 2010 di “Critica marxista” con il titolo “Politica senza desiderio” , riprende e amplia un articolo per la rivista Leggendaria n.85/2011.
E con labbra di zinco, quale tenerezza mai sarà possibile?E se ai poveri si offrono torte di marmellata di bulloni, chi non si vanterà di essere ricco?
Henry Michaux
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Riascoltiamo Marx, quando in quel “testo dentro il testo” che, all’interno dei “Grundrisse”, si sofferma sulle forme di produzione precapitalistiche. Da un lato fornisce alcune definizioni di “ricchezza” come il “dispiegarsi assoluto delle capacità creative” dell’uomo, certo storicamente determinate, ma in quanto “sviluppo di tutte le forze umane in quanto tali, non misurate da un metro già dato”, e, ancora, una condizione nella quale “l’uomo non si riproduce entro una qualche determinatezza, ma produce la propria totalità”, dove “non tenta di restare qualcosa di divenuto, ma è nel movimento assoluto del divenire”.
Dall’altro lato Marx paragona il mondo precapitalistico, in cui comunque l’uomo restava il fine della produzione, a quello moderno, dove questo rapporto appare invertito: “Nell’economia politica borghese – e nell’epoca della produzione ad essa corrispondente – questo completo dispiegarsi dell’interiorità dell’uomo si manifesta come un assoluto svuotamento, questo universale oggettivarsi si manifesta come un’estraneazione totale, e la soppressione di tutti i fini unilaterali determinati si manifesta come il più grande sacrificio del fine autonomo a vantaggio di un fine completamente esterno. Per questa ragione, da una parte, il puerile mondo antico appare come un che di più elevato; e, dall’altra, esso lo è ogni qualvolta si tenti di rinvenire un’immagine compiuta , una forma e una delimitazione posta. Esso è soddisfazione da un punto di vista limitato; mentre il mondo moderno lascia insoddisfatti, oppure, dove esso risulta soddisfatto di sé, è volgare”.(1)
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Gemein ist. “Ciarpame senza pudore, tutto in nome del potere”, Veronica dixit. Sembra in effetti che il panorama italiano sia quello in cui più platealmente e spettacolarmente si dimostra vera la “volgarità” di chi oggi si dichiara soddisfatto. Una certa soddisfazione della sessualità maschile per mezzo della prostituzione ha finito per assumere una particolare valenza simbolica, in un contesto in cui domina il trash. La notizia più recente, mentre scrivo, proveniente dal mondo politico – giornalistico italico, è la nuova intervista (falsa? vera? comunque rappresentativa di uno “standard linguistico” ormai canonizzato) di una signorina che si presenta come escort e che dice di aver avuto rapporti con Gianfranco Fini. Nel contesto c’è anche l’ipotesi-minaccia di un falso attentato al presidente della Camera. Lui nega e querela.
Ha osservato la direttrice del “Secolo d’Italia”, Flavia Perina: «una volta nei passaggi politici più delicati scoppiavano le bombe, oppure venivano rapiti gli statisti, oggi si videoregistrano non meglio identificate escort: il salto di qualità democratico è evidente. Niente vittime, niente sangue, niente dispendiose operazioni di depistaggio, rischi penali bassissimi: l’effetto è lo stesso, ma tutto è molto più pulito, economico, light. E se era difficile giustificare la liceità costituzionale di una P38 o di un timer ora si può dire con leggerezza commentando la nuova offensiva di Libero e del Giornale: è libertà di stampa, perché vi offendete?».
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Alcuni stralci da un’intervista data da Lucia (alias “Rachele”), la escort che dice di essere andata con Fini, pubblicata dal sito di Reggio Emilia “4 minuti.it”, oggetto della querela da parte del presidente della Camera:
Ma faceva già la escort quando è venuta a Reggio?
No. L’ho deciso una volta arrivata qua. Mi sono messa a tavolino e mi sono chiesta che cosa potevo fare per fare qualche soldo.
Che cosa l’ha spinta a dire quelle cose su Fini?
Sono una persona di sani principi e di morale, che mantiene quello che promette.
E quindi?
Quindi Fini mi aveva fatto delle promesse.
Che tipo di promesse?
Che si sarebbe interessato per farmi entrare al Grande Fratello, cose così.
Che tipo di clientela ha? E’ prevalentemente reggiana?
No, molti vengono da fuori.
Che tipo di persone sono?
Professionisti.
Le piacciono le vele di Calatrava?
Certo, sono la cosa più bella di Reggio.
Prima parlava di morale. E’ morale fare la prostituta?
E’ secondo lei è morale tradire la moglie per andare a prostitute?
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Forse un uomo è considerabile come sempre “ricattabile” quanto al suo avere a che fare con la prostituzione. Quando Berlusconi ha detto “non sono un santo”, ha in un certo senso “sdoganato” una parte considerevole, e del tutto “normale”, del genere maschile. La destra italiana è forte perché da una rappresentazione spettacolare amplissima del modo di essere “popolare” – non a caso si è letto che il Cavaliere pensi ora di ribattezzare il suo partito così: “Popolari”, in un’accezione evidentemente molto distante da quella del povero Don Sturzo. Qui si va dal bigottismo familistico più integralista al libertinismo da night-club e da club-privé.
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La prostituzione diventa – forse in parte lo è sempre stata – uno specchio centrale per l’immagine delle nostre vite. Nella tratta di donne straniere si concentra il massimo di violenza, e il massimo di radicalità nell’incontro-scontro con l’altro, con l’altro di sesso diverso. I Comuni emettono ordinanze che puniscono clienti e prostitute per difendere “decoro” e “ordine pubblico”. Ma la clientela è indecorosamente e disordinatamente larga, e non si lascia troppo demotivare dagli agguati del vigile urbano.
Nel protagonismo delle “escort” nelle avventure del ceto politico-affaristico, balzate per mesi e mesi all’”onore delle cronache”, si riflette l’abisso in cui è caduta l’autorità maschile. Una faccenda, questa, che riguarda i luoghi del potere politico, ma anche altre istituzioni che dovrebbero svolgere una funzione “ordinatrice” della vita della società: dalla Chiesa, all’università, al mondo dei media.
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All’inizio di ottobre 2010 una trentina di uomini, per iniziativa dell’associazione “maschile plurale”, si sono riuniti per due giorni a Torino, col proposito di aprire uno scandaglio su “quell’oscuro soggetto del desiderio” rappresentato “dall’immaginario maschile nella domanda di prostituzione”. Resoconti più ampi sono reperibili nei siti www.maschileplurale.it e www.donnealtri.it . Cito le idee che mi sono rimaste più impresse.
Bisogna presupporre una sostanziale continuità tra l’esperienza sessuale degli uomini, clienti effettivi o potenziali che siano.
Tanto più che, come ha insistito in quel confronto Claudio Magnabosco, da anni impegnato con Isoke Aikpitanyi nell’attività dell’associazione “Le ragazze di Benin City”, nella lotta contro la tratta è decisiva proprio l’azione di clienti che solidarizzano con le giovani sfruttate che hanno conosciuto sulla strada. Un fenomeno che negli anni scorsi ha coinvolto migliaia di maschi in tutta Italia. Non senza contraddizioni significative: infatti il passo da cliente a innamorato, a marito protettivo e poi forse a “protettore” può essere breve.
Il denaro nella relazione sessuale – è stato osservato da molti – ha il ruolo di un “preservativo” rispetto al “rischio” di una vera intimità, di una messa in gioco nello scambio tra persone. Il denaro è anche medium di una complessa relazione di potere. C’è il dominio dell’acquirente maschio, ma anche la “malinconia” di una sessualità maschile incapace di riconoscere la possibile ricchezza del proprio desiderio.
Naturalmente sono stati fatti fondamentali distinguo: gli uomini devono essere consapevoli che possono incontrare giovani minorenni e donne schiavizzate. Nessuna giustificazione per una rimozione di questo terribile aspetto della questione. D’altra parte esiste anche il caso di prostitute che scelgono “liberamente” questo tipo di rapporti, e altrettanto “libera” può essere considerata la scelta maschile di comprare un rapporto sessuale. Un tipo di relazioni analizzate acutamente da Roberta Tatafiore (2). Non può esserci “moralismo” – è stato però affermato, per esempio da Stefano Ciccone – “ma nemmeno indifferenza per la mercificazione”. La sessualità è un terreno per la “critica e il conflitto politico”.
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L’incontro è stato preceduto e seguito da riunioni di diversi gruppi in varie città. Partecipando a queste discussioni ho pensato che la diffusione – documentata in tante esperienze, testi, filmati ecc. – di relazioni basate sul meretricio e la loro estrema varietà (dalla velocità e indifferenza estrema nell’atto sessuale, alle perversioni, all’apertura di una relazione di scambio anche affettiva, in cui in genere la donna prostituta – o la trans – assume un ruolo di confidente e consolatrice) ci parla anche della “verità” che introduce nel rapporto lo scambio in denaro, con meccanica facilità e immediatezza. E’ un punto di partenza molto chiaro, sul quale poi è possibile la costruzione di relazioni assai diverse, in cui può anche venire in gioco un di più del desiderio e del carattere, magari normalmente rimosso o represso. Si potrebbe persino azzardare una certa contiguità col modello della relazione analitica.
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Questo ci riporta alla forza della mercificazione e del mercato capitalistico, anche se siamo di fronte a un patto “antico come il mondo”. Le stesse cose, come sempre, ritornano, ma – senza esagerare con gli storicismi – si presentano in modalità anche profondamente diverse. A Parigi, nei decenni che precedono il 1789, c’è una vera esplosione di canzonette, libelli, cartigli, pettegolezzi orali che si diffondono grazie a un capillare sistema mediatico e che prendono di mira i costumi dissoluti della corte. Protagoniste alcune favorite del re, come la Pompadour e la contessa du Barry, la cui origine sociale oggi potrebbe agevolmente rientrare nella categoria “escort”.
Secondo lo storico americano Robert Darnton la moltiplicazione di questi “gossip mediatici” – da lui ricostruiti soprattutto grazie agli archivi della polizia (le intercettazioni dell’epoca) – ha contribuito al crollo della monarchia non meno delle rivendicazioni politiche e economiche del “terzo stato” (3)
E’ opportuno che gli scandali avvengano.
Ci parlano delle modalità secondo le quali una certa autorità viene meno.
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Non è un caso che nell’Italia del “bunga bunga” si apra improvvisamente, per sollecitazione del Censis, un tentativo di intepretazione della società nazionale basata su concetti psicanalitici, come l’assenza della “legge” e del “desiderio”, o l’ “evaporazione del padre” di freudiana e lacaniana memoria, per spiegare una condizione in cui la “caduta dei desideri”, appunto, e la mancanza di una tensione creatrice con i valori della norma, porta “al primato del godimento e dell’edonismo di massa, alla serialità dei comportamenti, alla rassegnazione per la loro eterodirezione, al presentismo euforico, al rifiuto del tempo lungo e dell’accumulazione, all’eccessivo peso del mondo esterno rispetto alla coltivazione dei mondi interni. L’individualismo atomizzato cresce e si corrompe in un pericoloso vuoto sociale”(4)
Sul “manifesto” si è sviluppata una discussione interessante, a cui hanno partecipato Ida Dominijanni, Giuseppe De Rita, Massimo Recalcati e altri. C’è l’idea di “perversione” che incarna la vicenda berlusconiana: “Con questo termine – ha scritto Recalcati – non ci si riferisce a quanto avviene sotto le lenzuola, ma all’attitudine a subordinare ogni cosa (la verità, i legami sociali, gli affetti più intimi, gli interessi generali di una comunità) al proprio godimento personale, vissuto come un imperativo incoercibile”. C’è l’avvertenza – sviluppata da Dominijanni – sul fatto che non può funzionare quella sorta di “appello civile” sollecitato da De Rita perché ritorni un desiderio capace di dare ordine e nuova vitalità a una società che vive il cambiamento con angoscia, anomia, se gli uomini – e le donne – non saranno capaci di riconoscere la forza di questo desiderio là dove già si manifesta, a cominciare dalla rivoluzione di pratica e di pensiero prodotta proprio dalle donne e dal femminismo.
Da questo punto di vista ho trovato assai singolare che, nonostante la sollecitazione di Dominijanni, nel confronto proseguito tra Recalcati e De Rita (5) molto si invochi il “ritorno” di una qualche funzione “desiderante” e “ordinatrice” da parte di una perduta autorità paterna senza nominare mai ciò che è stato e viene pensato e agito, su questo terreno, da madri, figlie e sorelle (6).
Del resto poco si trova – da questo punto di vista – anche nel libro di Recalcati che è un po’ la “fonte” primaria di questo dibattito e della stessa analisi contenuta nell’ultimo rapporto Censis, “L’uomo senza inconscio” (7). Ci sono invece spunti molto interessanti, laddove si riattualizzano le definizioni di Lacan sul “discorso del capitalista” che, rovesciando le classiche tesi weberiane, colgono nel modo di produrre e consumare contemporaneo e nel regime linguistico simbolico che lo informa – l’analisi risale al 1972 – una tendenza che “esalta a senso unico la spinta del godimento contro ogni forma di legame”. Una tendenza anche profondamente autodistruttiva, osserva Lacan quasi presagendo le dimensioni della crisi attuale, prodotta dalla ricerca compulsiva del massimo e immediato guadagno finanziario, e dalla catastrofe dei beni acquistati indebitandosi spropositatamente.
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Mi era capitato di scrivere, per la verità prima che uscisse il rapporto Censis , che nella situazione italiana una ridefinizione del desiderio maschile e delle sue rappresentazioni simboliche sembra ormai essere una sorta di emergenza, di priorità politica e civile (8). Per noi uomini partire dalla situazione estrema, ma così normale, della prostituzione, è forse un buon esercizio per non rimuovere l’indispensabile radicalità del compito Un punto di partenza, per ripercorrere poi finalmente una genealogia del desiderio maschile e del suo rapporto con ciò che definiamo – sempre più incerti e angosciati – “politica”. Penso che si tratti, soprattutto per chi sta nella tradizione della sinistra, di un conto tuttora aperto con qualcosa che è accaduto ( o meglio, che non è accaduto) a ridosso del 1968 – fantasma sempre presente – quando per un attimo sembrò che la spinta del desiderio – di un “desiderio dissidente”, per dirla con Elvio Fachinelli (9) – prevalesse sulla logica dei “bisogni” e di una concezione già storicamente fallita del rapporto tra “masse”, “classe” e progetto politico. Un cammino da ripercorrere anche se si vuole contribuire davvero alla ricerca di “quel che resta del padre”, al di là della fantasmagoria oscena che sempre più spesso ce ne offre il Potere.
NOTE
1 – Karl Marx, “Forme di produzione precapitalistiche”, a cura di Diego Fusaro, Bompiani 2009.
2 – Tra gli scritti di Roberta Tatafiore, ricordo “Sesso al lavoro”, Il Saggiatore, 1994
3 – Robert Darnton, “L’età dell’informazione. Una guida non convenzionale al Settecento”, Adelphi 2007
4 – Rapporto Censis 2010, Considerazioni generali
5 – Ecco le date di uscita sul “manifesto” degli interventi qui presi in considerazione: Ida Dominijanni (4-12- 10), Massimo Recalcati (7-12), Giuseppe De Rita (8 – 12), Ida Dominijanni (12 – 12); Giseppe De Rita e Massimo Recalcati (4 – 01 -11); Chiara Zamboni (7 – 01 – 11)
6 – Sarebbe opportuna, tra l’altro, una rilettura dell’Appendice (oltre che del testo, naturalmente) che Luisa Muraro ha scritto all’edizione 2006 (Editori Riuniti) del suo “L’ordine simbolico della madre”, dove si riflette sul posto della madre e del padre nel simbolico.
7 – Massimo Recalcati, “L’uomo senza inconscio. Figure della nuova clinica psicanalitica”, Raffaello Cortina Editore, 2010
8 – Tra l’altro nell’intervento intitolato “Oportet”, pubblicato nel sito della rivista Alfabeta2 (www.alfabeta2.it)
9 – Elvio Fachinelli, “Il bambino dalle uova d’oro”, Adelphi, 2010. Si veda anche l’articolo di Lea Melandri, “L’altra sinistra di Elvio Fachinelli”, su Alfabeta2, n.5