Il video era su Youtube, è circolato dal 13 dicembre sui siti dei quotidiani on line e fugacemente è approdato su alcuni tg. D’altra parte le notizie estere piacciono ai telegiornali solo quando sono corredate da immagini forti, attentati, eruzioni vulcaniche, alluvioni.
Pubbliche frustate in una piazza su una donna inerme, con tanto di grida terrorizzate della vittima, avrebbero potuto essere lo spunto per un’ intera puntata di Anno zero. Ma è successo in Sudan e, (alla faccia del mondo globale), la notizia si è consumata in poche ore. La colpa della donna? Aver indossato abiti “indecenti”.
La sequenza dura poco più di due minuti. Si vede la donna in ginocchio che chiede pietà, ma viene colpita più volte da due agenti in divisa armati di scudisci. Gli agenti sembrano sghignazzare..Secondo il governatore della regione la condanna le era stata inflitta “in virtù della legge islamica”, anche se “qualche errore” è stato commesso nel “modo” di infliggere la pena (Il Fatto quotidiano, 19 dicembre).
Alcune delle versioni più violente del video sono già state rimosse da Youtube e pochi hanno ripreso la notizia della manifestazione di 52 persone, di cui 46 donne, inscenata a Karthoum per protestare contro la fustigazione. Cinquantadue “indomiti” scrive Domenico Quirico (La Stampa,18 dicembre) che “meritano l’ammirazione universale”.
Eroici e, soprattutto, eroiche. Ma erano solo cinquantadue e sono stati tutti arrestati e trattenuti per molte ore. Sui loro striscioni era scritto: “Umiliare le vostre donne vuol dire umiliare tutto il vostro popolo”. Le autorità sudanesi hanno impedito al giornalista James Copnall della BBC di riprendere la manifestazione (ilpost.it, 16 dicembre).
Secondo Mariam Sadiq al Mahdi, femminista e componente del partito di opposizione, sarebbero almeno 40 mila le donne frustate in un anno. Per un totale di seicentomila colpi di frusta (La Stampa, 18 dicembre). Tra circa un mese si svolgerà in Sudan un referendum per decidere della secessione tra Nord e Sud e il presidente Al-Bashir (incriminato dalla Corte penale internazionale per il genocidio nel Darfur) ha già dichiarato che se il Sud (animista e cristiano) diverrà indipendente, al Nord sarà l’Islam la fonte principale delle leggi senza alcuna concessione alla diversità di culture e di etnie (ilpost.it).
Che destino aspetta le donne sudanesi? Che cosa potremmo fare qui, oltre a smettere di ignorarle, per dar loro sostegno?
La giornalista sudanese Lubna che aveva osato indossare i pantaloni, l’anno scorso evitò le frustate chiamando a raccolta l’opinione pubblica internazionale. Oggi vive esule in Francia. Eppure lei, come le “indomite” di Karthoum, sono l’inizio della speranza.