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relazioni politiche, dal quartiere al mondo

La bocca cucita di Najoua

27 Maggio 2010
di Franca Fossati

Ha preso ago e filo (una donna li trova sempre) e si è recata in un bagno del Cie (Centro di identificazione ed espulsione) di Bologna. Lì si è cucita la bocca perchè la sua richiesta di asilo politico è stata respinta (L’Unità, 21 maggio). Najoua, 34 anni, tunisina, “si è fatta sarta di se stessa: quattro punti da un labbro all’altro, buchi grossi e sanguinanti, solo una fessura per poter bere” (Corriere della sera, 23 maggio), perché non vuole essere rimandata in Tunisia. “In Tunisia mi ci devono portare morta”, ha biascicato dalle labbra tumefatte.
La famiglia l’ha ripudiata: ha rifiutato di portare il velo e ha avuto un figlio fuori del matrimonio. Il fratello e il cognato l’hanno minacciata di morte. Vive in Italia dal 2006. Era arrivata dalla Libia su un gommone. Ha fatto otto mesi di galera per una storia di droga, prima di essere assolta e portata nel Cie come clandestina.
La sua avvocata, Roberta Zerbinati, dice che il ricorso, dal punto di vista giuridico, è tutto in salita: i tempi a disposizione della difesa sono strettissimi. Quindici giorni soltanto per raccogliere la documentazione che rinnovi la richiesta di asilo (Corriere di Bologna, 24 maggio).La perizia psichiatrica a cui è stata sottoposta conferma che è in grado di intendere e di volere: non può essere ricoverata e curata per forza. La Direttrice del Centro segue passo passo la vicenda dice il Corriere della sera (22 maggio), ma nelle stesse ore un tunisino di 26 anni, rinchiuso nello stesso centro, si è gettato dalla finestra dell’ospedale dove si trovava per accertamenti e si è fratturato le gambe.
Anche nel Centro di Restinco, vicino a Brindisi, un afgano si è cucito le labbra perché non gli era stato concesso di mettersi in contatto con la famiglia (Gazzetta del Mezzogiorno, 23 maggio). Queste sono alcune storie che trapelano da quei luoghi dimenticati, dove non entrano giornalisti e dove le persone che vi sono recluse hanno la sola colpa di essere senza permesso di soggiorno. “Io voglio sapere” è lo slogan di chi si batte per pubblicare le intercettazioni.
Forse si dovrebbe soprattutto sapere cosa accade nei Cie, più che conoscere gli o le amanti dei personaggi pubblici. Il tema invece sembra, per ora, molto ideologicamente appassionare solo i collettivi della rete Antirazzista e dell’ “area antagonista” che hanno promosso a Roma una settimana di mobilitazione, compreso “un assedio sonoro” al Ministero dell’Interno, per chiedere la chiusura dei Centri (nocie.noblogs.org ).
Noi, per intanto, ci limitiamo a domandare: la protesta di Najoua non avrebbe meritato almeno lo stesso spazio sui media del gran rifiuto di Maria Teresa Busi?

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