Anima / Corpo

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Amami, non toccarmi

4 Maggio 2010
di Alberto Leiss

Solo una donna, e tanto più una donna peccatrice come Maria Maddalena, poteva cogliere e ricambiare il messaggio di amore – un amore così forte da sovvertire il mondo – che viene dalla morte e dalla resurrezione del corpo di Gesù. Tra le tante “divagazioni” che Rosetta Stella approfondisce intorno al tema del “Noli me tangere” questa mi è sembrata una tesi di fondo, e un po’ l’origine delle varie direzioni che il suo pensiero e il suo linguaggio prendono lungo un testo che mi ha fatto venire in mente una forma musicale.
Un “rondò”: una di quelle composizioni nelle quali il tema principale apre e ritorna più volte, in forma anche variata, mentre tra una apparizione e l’altra del tema emergono altri motivi, altre armonie, ritmi e coloriture. Ma che con quel tema ripetuto e variato hanno rapporti, ora espliciti, ora sotterranei.
Una forma spesso leggera e galante, nella musica classica, ma che qui assume la profondità di una cantata sacra. Tutto nasce dal racconto del vangelo di Giovanni, tante volte raffigurato nella pittura europea, da Giotto e dal Beato Angelico a Tiziano e Poussin: Maria di Magdala incontra Gesù che è risorto dal sepolcro, ma non lo riconosce, lo scambia per un giardiniere. Solo quando lui la chiama per nome capisce che è di fronte al “buon maestro”. Ha un moto verso di lui, ma si sente rispondere: non toccarmi, lasciami andare. Non trattenermi. Con l’invito a annunciare agli altri apostoli che ora lui raggiungerà il Padre, “Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”.
Tommaso, con ben minore capacità di intelletto e di affetto, vorrà sincerarsi dell’apparizione toccando materialmente la ferita di Gesù. Maria Maddalena comprende invece che “l’amore stesso – come scrive l’autrice – pone la distanza. Ne ha bisogno”. E non si creda che qui l’amore, forza della verità che viene annunciata, quindi forza della parola, si smaterializzi, si distacchi dai corpi. E’ tutto il contrario. Questa distanza può essere vissuta così intensamente proprio perché la mediazione è assicurata da un corpo di donna, una donna che ha conosciuto l’amore carnale, che è stata liberata da “sette demoni”, che ha amato e ama intensamente, contraccambiata, il Figlio del Padre. Ed è, ancora, il corpo di una donna che conosce la creazione della vita, la nascita di una creatura, e il doverla lasciare andare.
La corporeità e il mistero, l’enigma dell’amore sono accentuati dalla doppia scelta di Rosetta Stella: far sua la tradizione – oggi contestata – che identifica la Maddalena nella prostituta che lavò e unse i piedi del Signore. Sovrapporre alla figura di questa donna e del suo amore quella della “sorella mia e sposa” che attraversa il Cantico dei Cantici. E’ anche una forzatura, una piegatura verso una certa idea del cristianesimo e del cattolicesimo, in cui i corpi e la differenza dei sessi assumono una posizione centrale.
Si dice in quei misteriosi versi del Cantico, tra l’altro: “Perché l’Amore è duro / Come la Morte // Il Desiderio è spietato / Come il sepolcro”.
E nelle divagazioni di Rosetta torna spesso il tema della morte, della fine, come prova estrema per l’amore. Per l’amore di chi resta. Un passaggio che è accostato a quello della nascita: “Ogni morte, come ogni nascita, ridisegna un mondo nuovo, nuove responsabilità, nuove mansioni, nuovi compiti, nuove prospettive, nuove libertà, nuove umanità”.
Il racconto del vangelo, i simboli che produce, sono mezzi e strumenti per una ricerca di verità sulle nostre vite e sul mondo che non necessariamente richiedono la fede, una grazia che comunque l’autrice dice in premessa di augurarsi.
In fondo questa ambiguità, tra fede e non fede, vita e morte, amore dei corpi e dell’anima, appassionatamente svolta e rivolta in una scrittura molto densa, è ciò che ne costituisce il potere di attrazione.
Non molto tempo fa ho visto un bel film sulla mia città, Genova. E’ la storia documentaria dell’amore di una coppia di “ultimi”. Nei vicoli più remoti del centro storico. Un uomo che ha passato gran parte della vita in carcere ritorna. La sua passione totale è per una “trans”. Una relazione fatta soprattutto di mancanze. Sono immagini in cui parla poeticamente la fisicità, la corporeità dei personaggi, soprattutto del maschio.
E’ la femmina – in questo caso una femmina per “scelta”, il suo corpo viene da un altro genere – che in una lunga sequenza centrale mette in parola queste vite e questo amore. Ogni tanto si ascolta una musica sublime. E’ il “Membra Jesu nostri” di Dietrich Buxtehude. Anche qui alcuni versi del Cantico dei Cantici evocano l’amore di fronte alle piaghe sul corpo di Gesù. La musica risale dai piedi alle ginocchia, al costato, al petto, al cuore, e canta: “Vulnerasti cor meum, soror mea, sponsa”. Hai ferito il mio cuore, sorella mia, mia sposa. O anche: Mi stravolgi la mente.
Da questo testo – certo discutibile, e l’autrice si augura che venga discusso – può venire un salutare shock nel momento e nel contesto in cui il discorso pubblico ci offre un “partito dell’amore” dai risvolti spettacolari osceni, una Chiesa cattolica sul punto di perdersi nell’incapacità di venire a capo della sessualità maschile, una risposta laica incapace di trovare la giusta misura del confronto.
Uno shock che può aiutarci a fare un po’ di ordine?
Maria Maddalena compie un gesto di amore lasciando che il suo amato si riunisca con il Padre, e ne annuncia il messaggio di libertà. E’ una relazione che interroga le donne, più forti, dei nostri tempi. E gli uomini, più smarriti.

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