In Sudan si vota. Per il Presidente, per il Parlamento, per i governatori dei singoli stati. Sono le prime elezioni multipartito dopo 24 anni.
Qui da noi si discutono i risultati elettorali: può essere terapeutico raggranellare le (poche) notizie di elezioni africane. Poche notizie perché, nonostante gli sforzi di Antonella Napoli, presidente di Italians for Darfur, che ha promosso con altre associazioni una giornata di manifestazioni a suon di tamburo per chiedere elezioni democratiche, quasi nessuno ne sta parlando (Apcom, 11 aprile).
Gli elettori del grande paese africano sono 16 milioni. I partiti in lizza 73. L’Accordo generale di Pace del 2005 ha messo fine alla guerra tra nord e sud, ma secondo la Caritas Internazionale sono almeno 2,7 milioni le persone ancora sfollate che hanno bisogno di aiuto per essere reinserite nella società (Agenzia Fides). Nel Darfur gli osservatori dell’Unione Europea che avrebbero dovuto monitorare il voto hanno lasciato la regione per l’impossibilità di svolgere il proprio lavoro in un clima di guerra civile.
Tra le liste nazionali quella delle donne: la legge elettorale garantisce loro il 25 per cento dei seggi. Ma i principali partiti di opposizione hanno deciso di boicottare le consultazioni perché non si fidano dell’attuale Presidente, Bashir, salito al potere con un golpe militare. Temono i brogli e non vogliono legittimarlo con il voto. Per questo le donne più impegnate si dichiarano pessimiste e “depresse”: non cambierà nulla, soprattutto per le donne (La Stampa, 12 aprile).
Dal 1983 nel Nord del paese vige la Sharia. Una donna non si può sposare senza il consenso del tutore maschio, ma il padre può autorizzare il matrimonio di una bambina di 10 anni. (Nello Yemen, dove vige la Sharia, una bambina di 13 anni è morta per emorragia vaginale dopo soli tre giorni di matrimonio – Corriere della sera, 8 aprile). Per divorziare una donna deve essere autorizzata dal tribunale, mentre un uomo può ottenere il divorzio automaticamente. E i figli, dopo la primissima infanzia, vengono sempre affidati al padre, per legge.
“Con il boicottaggio andranno in Parlamento solo deputate della maggioranza, quelle che non vogliono la riforma del Diritto di famiglia” dice a Jacopo Albarello de La Stampa, Balghis Badri, iscritta all’Umma Party, il partito dell’ex premier destituito. Il nonno di Balghis già nel 1907 si era battuto per il diritto allo studio per le donne. E il padre aveva fondato a Karthoum l’Ahfad University, un college universitario per le ragazze. Oggi solo il 25 per cento delle bambine ha un qualche accesso allo studio e, secondo le statistiche, una donna su 100 muore di parto.