C’è un cortocircuito tra l’articolo di Susanna Tamaro dello scorso sabato, e il titolo scelto dal Corriere della Sera che l’ha ospitato: «Il femminismo non ha liberato le donne». Quando l’autrice di “Và dove ti porta il cuore” scrive: «Le grandi battaglie per la liberazione femminile sembrano purtroppo avere portato le donne a essere soltanto oggetti in modo diverso», non nega le battaglie per la libertà delle donne, eppure ne rovescia l’esito. Non c’è stata liberazione, solo un cambiamento di forme, dice. La prova? Le sciagurate ragazze di oggi, che si propongono come puro apparire, praticano la promiscuità come se fosse bere un bicchiere d’acqua e si affidano alla chirurgia estetica.
Non è ben chiaro se Susanna Tamaro pensi a una colpa originaria oppure a un fallimento di buone intenzioni. È curioso che nel suo articolo, che parte da ricordi di un passato a cui l’autrice ha partecipato, manchi il senso del tempo. Nell’eterno presente in cui si rispecchia l’angoscia – autentica, sembra – della conclusione: «siamo in mille, ma siamo sole», non c’è storia, non ci sono le voci, le fisionomie vere delle protagoniste di queste vicende. Che la tirannia del corpo e della bellezza sia propaganda, una potente campagna di immagine imposta alle donne, un’arma per bloccare, anzi meglio azzerare i risultati di quella liberazione è un pensiero che non sfiora la scrittrice, che pure parla della sensazione, provata negli anni Settanta « di trovarsi sulla prua di una nave e guardare un orizzonte nuovo, aperto, illuminato dal sole di un progresso foriero di ogni felicità». Il tempo per Tamaro è puro succedersi di generazioni, non c’è il tempo del conflitto dei soggetti e dei desideri, del cambiamento e di chi si oppone al cambiamento, l’esperienza forse drammatica ma anche intensa e vitale in cui siamo immersi. Ecco allora il rovesciamento, l’accusa angosciosa e disperante. Sono le attiviste, «lo erano le mie amiche più care», le responsabili delle nuove schiavitù femminili? Perchè non considerare che mettersi in mostra, esporsi, quella mistica della promiscuità che Susanna Tamaro con precisione mette a fuoco, insomma tutto quello che certe “bad girls” addirittura teorizzano, siano un aspetto della libertà conquistata? Il libero arbitrio non è anche la libertà di scegliere il “male”? Che libertà sarebbe, altrimenti? E come si potrebbe parlare di etica e responsabilità?
Naturalmente sentirsi dentro una battaglia non significa considerare un “bene” il lavaggio del cervello a cui sono sottoposte le adolescenti, tantomeno le bravate identitarie di quelle che si mostrano nude su Youtube. Eppure bisogna avere ben chiaro che è la libertà femminile l’oggetto della contesa, non altro, non si può lasciare che scivoli via in una capriola di parole, oplà, e la libertà non c’è più. Soprattutto non sui media, che di questa propaganda quotidiana dell’esibizione del corpo femminile sono artefici in prima linea.
Per questo è interessante il mirabolante cortocircuito del titolo del Corriere della Sera. Rivela la rimozione completa del femminismo dal racconto corrente della società e della politica italiana. Nel più classico ritorno del rimosso, ciò che si tiene accuratamente fuori dalla scena, il femminismo, viene accusato di non avere liberato le donne. È come volere chiudere il cerchio all’insegna del “non c’è stato nulla”, e se qualcosa c’è stato, oggi è del tutto inutile e superfluo, in ogni caso è uno sbaglio, una colpa. Come se le femministe avessero mai diretto un quotidiano, o una tv. O si fossero mai viste femministe diventare presidente della Repubblica. Come invece è stato possibile, a proposito di marginalità, alternativa e culture politiche, per un comunista, come è stato in passato il nostro attuale presidente. E se l’accostamento, come spero, suscita un sobbalzo, proprio il sussulto spiega al meglio la natura e la profondità della rimozione delle femminismo dal discorso pubblico della società e della politica italiana. Come se il femminismo non avesse nulla da dire, di significativo per tutti, sulla società e la politica. Come se non facesse parte della storia del Paese.
Come se l’oggetto del contendere portato sulla scena dal femminismo fosse sul serio la banale e pericolosa libertà sessuale di mettere in atto di qualunque pulsione. Come se in gioco non ci fosse la libertà delle donne – e degli uomini naturalmente. Anche la libertà di essere cattive. Oltre che presidenti.
L’articolo è uscito sul corriere.it