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Pedofili in chiesa: davvero perchè celibi?

21 Marzo 2010
di Letizia Paolozzi

Una ondata di scandali pedofili – risalgono addirittura agli anni Sessanta – ha colpito la Chiesa cattolica. Prima Stati Uniti e Australia: tanto che, nel 2008, durante l’omelia nella messa celebrata alla australiana St.Mary’s Cathedral, Benedetto XVI usò parole durissime e esplicite in difesa delle vittime. Ora a essere ferito è il cattolicesimo irlandese (nella Lettera Pastorale dell’altro giorno il Pontefice ha deciso nuovamente di condannare gli abusi invitando chi li ha commessi a risponderne “di fronte a Dio onnipotente come pure davanti ai tribunali debitamente costituiti“) e in Germania, Olanda, Austria.
Una delle critiche rivolte alla Chiesa dall’opinione pubblica laica, attiene al modo poco trasparente di affrontare i casi di violenza sugli adolescenti. Le ministre di Angela Merkel hanno parlato di “muro del silenzio“. Per la cancelliera tedesca sono gesti che non vanno rinchiusi nella Chiesa giacché riguardano “tutta la società“. La storica Lucetta Scaraffia ha scritto che un numero maggiore di donne con ruoli decisionali nella casa di Dio, potrebbe rompere l’omertà e porsi esplicitamente dalla parte delle vittime.
Certo, la Chiesa ha dato l’impressione di respingere le critiche definendole “scandalismo“. Di “accanimento“ contro il Papa ha parlato il portavoce vaticano padre Lombardi. Accanimento non so. Ma foga esagerata da parte di tanti sì. La veemenza che ci hanno messo i media fa supporre che, probabilmente, ad alimentarla siano stati proprio gli interventi su questioni eticamente sensibili (dall’aborto ai Dico, preservativo, testamento biologico, fecondazione assistita, Ru486) che hanno sottratto autorevolezza alla struttura ecclesiale. Interventi che hanno finito per scoraggiare credenti e non credenti producendo una profonda crisi.

Di questa crisi, in fondo, sarebbe testimonianza proprio “l’assenza di coraggio e determinazione” (dalla Lettera Pastorale di Benedetto XVI) che non è riuscita a nominare ciò che accade nella Chiesa. Di qui la reazione spesso inadeguata. Inadeguata, secondo me, perché non sta esplicitamente dalla parte delle vittime. Dalla parte della loro fragilità e vulnerabilità.

Il teologo Hans Kung spostando lo sguardo sugli abusi, si è chiesto su “Repubblica“ (del 18 marzo) in che modo sia possibile ridurne il numero e ha concluso: bisogna abrogare la regola del celibato. Una regola imposta nella Chiesa cattolica romana – unica tra le religioni monoteiste – con il concilio Lateranense del 1123. Per il teologo svizzero “mentre l’obbligo del celibato impone ai preti di astenersi da qualunque attività sessuale, i loro impulsi sono però virulenti, col rischio che il tabù e l’inibizione sessuale li induca a cercare una qualche compensazione“.
Detta così “l’attività sessuale“ ha qualcosa di terribilmente meccanico. Sarà questa la sessualità vissuta, praticata dai maschi? A parte il fatto che il celibato, dunque la castità, la rinuncia dei preti al matrimonio e al sesso, ha aiutato la Chiesa ad allargare la propria influenza spirituale, davvero bisogna immaginarsi una sessualità senza nulla di relazionale o di affettivo ma considerata puramente sfogo, ricerca di risarcimento e addirittura dominio?

Perché questa “compensazione“ nega e annega il desiderio. Lo riduce a un impasto, un amalgama e dunque a uno pseudorapporto non solo tra celibato e pedofilia ma tra pedofilia e omosessualità, come fossero la stessa cosa. Al contrario di quanto afferma Kung, io non credo che il celibato spinga all’amore per gli adolescenti. Quell’amore è una deviazione della sessualità maschile, perlomeno oggi che l’amore viene commercializzato e schiacciato dal consumo. E’ il segno di una sessualità immatura da parte di chi non ha riflettuto bene su che cosa avrebbe significato crescere nei convitti, nei seminari, senza mai incontrare l’altro sesso, l’altro da sé.
Quanto alla sessualità femminile la mia idea – non solo mia – è che le donne siano generalmente meno interessate a quella che il teologo svizzero definisce una “qualunque attività sessuale“. Sono invece molti esponenti del mondo maschile a privilegiare una simile narrazione. Uomini normali e su su, premier, governatori di regioni, sindaci, imprenditori. Grazie alla televisione, ai media, è una narrazione che conosciamo bene. Per fortuna, molti esponenti del mondo maschile sono diversi e vorrebbero sottrarsi a questa descrizione. Tuttavia, per lo più tacciono. E così facendo rilanciano l’immagine di una sessualità semplificata, costretta a bilanciare i pungoli sessuali alla maniera dei pastori con le loro pecore.

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