Se ne parla da oltre vent’anni e il tema è stato sviscerato, analizzato, scomposto, è diventato bandiera, spartiacque, oggetto di inchieste, argomento di saggi, pamphlet e ordinanze. Sui pro e sui contro, sui rischi e sui vantaggi si sono pronunciati medici, teologi, preti, scienziati, moralisti, sociologi, teocon, neocon, radicali, progressisti e politici, (oh quanti politici!).
Anche le donne, talvolta.
E ora che finalmente, vent’anni dopo la Francia, dieci dopo gli Stati Uniti, a metà marzo, la pillola abortiva Ru486 arriverà negli ospedali, con tutte le autorizzazioni del caso, c`e` chi vuole ricominciare.
Tuona Monsignor Sgreccia, Presidente emerito della Pontificia Accademia per la vita, non soltanto contro l’aborto, il che è ovvio, ma per invitare il governo a bloccare l’uso della pillola, in nome della salute delle donne (Il Messaggero, 21 febbraio).
Promettono il Ministro Sacconi e la Sottosegretaria Roccella direttive cogenti riguardo alla somministrazione del prodotto. Il Ministro della Salute invoca una normativa dal Consiglio superiore della Sanita` (Adnkronos, 23 febbraio).
Nell’attesa le Regioni si dividono. Solo sei, infatti, come rileva un’inchiesta del periodico di politica sanitaria Il Bisturi, hanno legiferato in materia. E due di esse, Emilia Romagna e Piemonte, oltre alla Provincia autonoma di Trento, hanno deciso di lasciare al medico la scelta sui tempi del ricovero compreso il day hospital. Ma anche in quei casi sono previsti protocolli sul monitoraggio costante della paziente fino ad aborto completato (Il Messaggero, 21 febbraio). Per rispetto della legge 194 e per garantire il massimo di sicurezza alle donne.
Ugualmente si sono rialzate barricate. Monsignor Fisichella ha deplorato questa situazione “anarchica e a macchia di leopardo” invitando il governo a produrre linee guida nazionali. Maurizio Gasparri ha addirittura minacciato la galera a chi applicherà il day hospital e il candidato del Pdl in Piemonte, Roberto Cota, ne ha fatto tema centrale della campagna elettorale. Proprio oggi, 24 febbraio, sottoscriverà il “Patto per la vita e per la famiglia” dove si impegna a obbligare le donne che scelgono la Ru486 al ricovero ospedaliero “fino al completamento del percorso abortivo” (La Stampa, 22 febbraio). E poiché, come ricorda l’Assessore alla Sanità dell’Emilia Romagna, Giovanni Bissoni, la certificazione dell’aborto avvenuto si compie al 14° giorno, questo proposito “è un non senso, sostenibile solo nel presupposto che la donna, sotto la propria responsabilità, firmi le dimissioni volontarie e anticipate” (AGI, 22 febbraio).
Il ballo dell’ipocrisia continuera`, temiamo.