«Bisogna specchiarsi in questo Paese, vederlo per quello che è in realtà. Un paese nel quale le madri offrono le figlie minorenni in cambio di un’illusoria notorietà. Un Paese in cui nessuno vuole più fare sacrifici perché tanto la fama, i soldi, la fortuna arrivano con la tv, col Grande Fratello. Che futuro si prepara per un paese così?». Queste parole di Veronica Lario, concesse in un’intervista a Maria Latella, sono pesanti come pietre, dolenti come una ferita profonda. Sono il frutto di una persona che ha visto la realtà in cui viviamo a partire da una visuale particolare personale e collettiva insieme, con la forza che solo questa sovrapposizione produce. Sono parole che meritano di essere ascoltate e meditate in tutta la loro serietà.
Che cosa abbiamo visto nei mesi scorsi in Italia con il sexgate di Berlusconi? L’elenco che occorre fare fornisce il profilo non solo di un uomo, ma della politica italiana e dello stato dell’intero paese: candidate nelle liste per le elezioni europee scelte tra le veline e le modelle più avvenenti; un Presidente del Consiglio che condivide con giovani e minorenni feste di compleanno, cene e vacanze di capodanno; fotografie a luci rosse nelle residenza estiva di Villa Certosa, con tanto di politici italiani e stranieri; un sedicente imprenditore che si occupa di assumere e imbarcare carichi di “escort” da portare al capo del Governo per soddisfare le sue voglie in cambio di favori per i suoi affari; lo stesso primo ministro che promette carriere politiche a queste giovani, inserendole in liste elettorali qua e la, o carriere nel mondo dello spettacolo telefonando (o facendo telefonare) a dirigenti della Tv pubblica per raccomandarle per una parte in un qualche sceneggiato o varietà.
Allora che cosa abbiamo visto? Crediamo di saperlo, pensiamo che tutto sia già stato visto, oppure ci manca addirittura il linguaggio adatto per descrivere appropriatamente uno scenario in gran parte inconcepibile fino a poco tempo fa?
Procedendo per esclusione possiamo dire che quella che abbiamo avuto sotto gli occhi non è una scena patriarcale. Il canovaccio non è un maschio padrone che comanda, sottomette e castiga brutalmente le donne. Anzi diverse delle protagoniste coinvolte hanno decantato l’affettuosità, la generosità e le attenzioni del Presidente. La postura di Berlusconi assomiglia più al narcisismo esibizionistico dell’icona televisiva che alla rigorosa e austera compostezza del patriarca pubblico o privato. Né d’altra parte abbiamo visto donne tradizionali, caste e angelicate, rinchiuse nello stereotipo delle madri di famiglia, tutte compite nel sostenere l’immagine pubblica dell’uomo politico. Tutto al contrario troviamo donne che dispongono di sé, del proprio corpo, della propria immagine, delle proprie prestazioni e protestano o minacciano se non ottengono ciò per cui si erano concesse: un posto in Tv o nelle istituzioni, oppure un aiuto per lanciare la propria attività.
Certamente quella che si è dispiegata è una forma di sessismo maschile, ma un sessismo che si esercita in un contesto simbolico e sociale completamente nuovo che attende di essere interpretato. Le definizioni che sono state date dello scenario politico di questo particolare momento storico ci sembrano non completamente convincenti. C’è chi ha parlato di Sultanato, chi di basso Impero o di Impero al tramonto (si sprecano i riferimenti alla fase finale dell’Impero Romano), chi ha coniato la definizione più fantasiosa di “Politica Pop”. Ma l’impressione è che ci sia una difficoltà di dare un nome a qualcosa che mescola cose già viste a cose del tutto nuove. Una compresenza di arcaico e ipermoderno insieme. Le stesse dichiarazioni di Veronica Lario sulla Repubblica del 3 maggio 2009 richiamano questa ibridazione: «La strada del mio matrimonio è segnata, non posso più andare a braccetto con questo spettacolo. Figure di vergini che si offrono al drago per rincorrere il successo, la notorietà e la crescita economica. Per una strana alchimia, il Paese tutto concede e tutto giustifica al suo imperatore. Mi domando in che paese viviamo, come sia possibile accettare un metodo politico come quello che si è cercato di utilizzare per la composizione delle liste elettorali del centrodestra e come bastino due mie dichiarazioni a generare un immediato dietrofront».
L’immagine delle vergini offerte al drago è molto suggestiva e affonda in un sostrato mitologico molto antico. Questo mito sembra alludere alla presenza di un potere-bestia che sovrasta la polis minacciandola (ha potere di vita e di morte) e al tempo stesso ordinandola (richiede rituali, regole, offerte, vittime sacrificali, sacerdoti e vestali). Forse questa animalizzazione richiama anche una dimensione inafferrabile e misteriosa del potere assoluto. Come ha notato Carlo Galli commentando un libro di Derrida, il sovrano si approssima alla bestia per la dismisura che porta con sé, «perché è sopra e sotto la legge» (La Repubblica, 21 luglio 2009).
Questa immagine in parte descrive efficacemente anche la vicenda di cui stiamo discutendo. Nonostante la cornice formalmente democratica abbiamo un sovrano pressoché assoluto che si permette di fare e disfare quello che vuole, che si fa beffe della moralità, della legge e perfino della verità, negando senza alcun imbarazzo la cruda realtà dei fatti; che si è circondato di un vasto apparato di servitori che dopo aver occupato posti chiave in partiti, istituzioni, televisioni, giornali, provvedono ad apparecchiargli un “mondo” secondo le sue necessità sostenendo qualsiasi bugia e malefatta pur di non contrariarlo. Tuttavia la fisionomia di questo sovrano non assomiglia, nonostante la retorica, al drago mostruoso delle leggende, né ai dittatori spietati e sanguinari che pure abbiamo conosciuto nel corso del ‘900. L’ordine non è quello del terrore ma del narcisismo e dell’iperrealismo conformistico che si avvicina più che mai a quella che Etienne De la Boétie chiamava “servitù volontaria”. Le vergini che vengono offerte non vanno come vittime in sacrificio ma corrono a fare la fila e mandano i propri book fotografici per essere notate e chiamate dal sovrano. Infine le persone che affrontano questo potere non sono valorosi cavalieri, senza macchia e senza paura, ma mogli umiliate e prostitute usate e ingannate.
Il potere e l’antropologia politica maschile sono totalmente desacralizzate e banalizzate, e non fanno più paura a nessuno. Chiunque può sfidare il sovrano approfittando del suo narcisismo, solamente con un piccolo registratore da tasca o con una macchina fotografica.
Dunque c’è qualcosa di già visto ma in un contesto differente e con caratteristiche particolari. Ma poi, in questa forma di potere sessista, ci sono degli elementi del tutto nuovi, che diremmo ipermoderni. Fra gli altri val la pena richiamarne almeno tre: telecrazia, pornografia, corruzione.
TELECRAZIA – Questo potere è il frutto di una cultura e un immaginario televisivo specifico di una società divenuta ormai compiutamente “società dello spettacolo”. È avvenuto – per dirla con Baudrillard – “il delitto perfetto”, la scomparsa della realtà. Si tratta di comprendere soprattutto il ruolo giocato dalla televisione commerciale e di intrattenimento, quella del “Grande fratello”, a cui faceva riferimento anche Veronica Lario. La televisione che ha imposto l’apparire come criterio dell’essere, del successo, della stessa verità: “se non è apparso in Tv non esiste”. La specificità italiana è che Berlusconi prima e più di chiunque altro ha trasformato e ridotto la politica ad un format televisivo. In un regime di telecrazia si è scambiato lo share per volontà popolare e si è stabilito un potere assoluto non tramite la polizia segreta ma attraverso programmi, fiction e pubblicità che hanno plasmato l’immaginario collettivo di un intero paese.
PORNOGRAFIA – Questo potere si fonda sulla trasposizione dell’immaginario pornografico maschile alla politica. Il “metodo politico” che si è cercato di utilizzare per la composizione delle liste elettorali del centrodestra, diventa comprensibile se lo si individua come uno strumento per catturare un certo target di elettori-spettatori che scelgono sulla base non degli interessi, dei progetti, delle competenze o dei valori, ma sulla base dell’attrazione e della desiderabilità, così come si farebbe nella selezione-eliminazione delle protagoniste di una sfilata di bellezza o di un reality televisivo come “L’isola dei famosi” o “La fattoria”. Per quanto vi siano state proteste e resistenze, non si può evitare di notare che la forma pornografica del desiderio maschile ha in qualche misura contaminato l’immaginario collettivo, di uomini e donne, dal cinema, alla televisione, alla pubblicità, allo spettacolo, alla politica. Per molte giovani donne questi mondi non sono ambiti a se stanti, ognuno con una propria logica, ma semplicemente scene alternative, parallele e intercomunicanti di un unico spettacolo, per cui non c’è nulla di strano a transitare disinvoltamente dall’uno all’altro a seconda di dove si aprono più facilmente le porte. Le protagoniste femminili non richiamano l’immagine delle madri di famiglia e nemmeno delle donne emancipate e maschilizzate ma quella più spendibile e desiderabile delle “veline” e “meteorine”.
I protagonisti maschili assomigliano sempre meno a vecchi ed austeri patriarchi e sempre di più a imprenditori dello spettacolo politico, quando non addirittura a semplici ruffiani. Così giovani donne possono, senza alcuna carriera politica in burocratiche o patriarcali strutture di partito, divenire parlamentari o addirittura ministre se corrispondono al “desiderio” maschile. Se in passato, per accedere ai luoghi maschili della politica, le donne dovevano almeno in parte assumere lo stesso modo di pensare, agire e desiderare degli uomini, oggi, nella politica pornografica gli è richiesto di essere, di “incarnare” quel desiderio. La bellezza e il fascino femminile sono attualmente un valore spendibile nello spazio pubblico della politica, ma purtroppo nel senso più superficiale e deteriore. La galanteria di alcuni dirigenti politici e l’apparente apprezzamento delle donne, specie quando si devono mettere insieme le liste elettorali e garantire un’immagine di rinnovamento, nasconde in realtà un disprezzo dell’autonomia e dell’intelligenza femminile.
Come ha scritto ancora con puntualità Veronica Lario, parlando di «ciarpame senza pudore», nella famosa lettera all’Ansa del 28 aprile 2009: «quello che emerge oggi attraverso il paravento delle curve e della bellezza femminile, e che è ancora più grave, è la sfrontatezza e la mancanza di ritegno del potere che offende la credibilità di tutte e questo va contro le donne in genere e soprattutto contro quelle che sono state sempre in prima linea e che ancora lo sono a tutela dei loro diritti».
CORRUZIONE – Infine questo potere si basa su una forma di corruzione sistematica e capillare di ogni istituzione pubblica. Il libro di Peter Gomez, Marco Lillo e Marco Travaglio “Papi. Uno scandalo politico” (Chiarelettere, 2009) fornisce un ritratto agghiacciante del funzionamento del sistema di potere nell’era Berlusconi: un potere che attraversa non solo le istituzioni, ma il sistema economico, il mercato del lavoro, la televisione. Cariche dello stato, politici, dirigenti del servizio televisivo nazionale, uomini di spettacolo, imprenditori, responsabili di strutture pubbliche, tutti hanno un ruolo in questo sistema di potere, tutti fanno a gara di servilismo e concorrono nell’assecondare e gratificare il potente sovrano. È sufficiente ricordare come sia stato il sempre servizievole Emilio Fede a mostrare il book fotografico con l’immagine di Noemi Letizia a Berlusconi, mentre il rampante Giampaolo Tarantini raccoglieva e istruiva le ragazze da portare a Palazzo Grazioli o a Villa Certosa sulla base delle caratteristiche fisiche gradite al Presidente, e il direttore di Raifiction Agostino Saccà si occupava di sistemare le giovani amiche raccomandate dal Presidente e dalla sua corte trovando loro qualche particina nelle produzioni del servizio pubblico. Questa vicenda, rivela una volta di più come la corruzione e il servilismo in questo paese siano un comportamento tutt’altro che isolato. «Nello spettacolo politico-operettistico italiano – ha scritto Fabrizio Tonello sul Manifesto del 14 giugno 2009 – c’è quindi una forte componente di consenso, di desiderio di essere ingannati, una cupidigia di servilismo che viene dalla storia profonda del nostro paese». Il risultato di tutto ciò è che in un paese dove la raccomandazione e la corruzione sono diventate prassi, chi denuncia il ciarpame o le malefatte del sovrano o del sistema passa per anormale o addirittura criminale.
Colpisce del resto che tutto questo non abbia sollevato nel paese un’ondata di indignazione. In molti e non solo a destra hanno accusato Veronica Lario di mirare unicamente ai soldi dell’eredità. Altri hanno derubricato tali vicende a “questioni private” o di “costume” e hanno visto l’atto coraggioso di Veronica e l’encomiabile lavoro di informazione e denuncia condotto dai giornalisti di Repubblica come argomenti da gossip e non una lotta di civiltà per l’affermazione di un’etica pubblica degna di questo nome. Per altri semplicemente “le cose che contano” sono altre, i soldi, l’economia ecc. Come se la dignità delle donne e la civiltà delle relazioni non avessero uno statuto politico o come se il conflitto tra i sessi non attraversasse, fra l’altro, anche le dimensioni più strettamente materiali: la possibilità di lavorare, di autodeterminarsi, di costruirsi un progetto di vita senza dover ricorrere a relazioni brutalmente strumentali per farsi strada. E del resto, se la politica non contribuisce a dare significato, forma e qualità alle nostre relazioni quotidiane, allora che senso ha?
Sarà che forse abbiamo visto all’opera, un processo di rispecchiamento, considerato che, come ha notato Bia Sarasini su www.donnealtri.it, il comportamento di Berlusconi richiama un’abitudine alquanto comune. Si stima che circa 9 milioni di Italiani non trovino nulla di sbagliato nel pagare abitualmente delle donne per soddisfare la propria sessualità. Certo il Presidente ha un ruolo istituzionale e dispone di un potere politico economico che i normali cittadini non hanno, ma questo non impedisce che alcuni maschi si possano rispecchiare in questa mentalità. Come ha scritto Annamaria Rivera su Liberazione del 23 giugno: «Mai come oggi in Italia c’è stata una tale complicità della società, dell’opinione pubblica, della gente comune, di una parte rilevante delle donne. Anzi, c’è qualcosa di più della complicità oggettiva, c’è immedesimazione e sintonia sentimentale con le imprese e lo squallore del mediocre ometto sporcaccione da anni ’50, al quale denaro e potere permettono ciò che a noi è negato. È come se una buona metà del paese spiasse compiaciuta dal buco della serratura, dicendosi: almeno lui può permettersi di farlo».
Naturalmente c’è una parte del paese – e anche una parte di uomini – che la pensa diversamente, che è scandalizzata e amareggiata da questo spettacolo. Ma il rischio è che anche fra chi non è affatto d’accordo prevalga un senso di impotenza e di fatalismo. È qui che si vede la mancanza terribile della sinistra. Se questi eventi fossero accaduti in Gran Bretagna, in Francia, in Spagna o negli Stati Uniti, il capo del Governo sarebbe stato costretto dalle reazioni dell’opposizione a dimettersi immediatamente. Se tutto ciò è stato possibile senza conseguenze, è anche perché nel nostro paese non esiste un’opposizione politica e morale, o almeno non laddove ci si aspetterebbe di trovarla.
Fin dall’inizio le parole dell’opposizione sono state altrettanto stupefacenti dei fatti. Si comincia con Dario Franceschini che di fronte alla lucida denuncia di Veronica Lario, non trova di meglio che rispondere con l’ipocrita “tra moglie e marito non mettere il dito”, confermando cioè la tradizionale distinzione pubblico-privato e l’irrilevanza politica di un Presidente del Consiglio che utilizza il suo potere istituzionale ed economico per circondarsi di minorenni e prostitute d’alto bordo.
Sul lato opposto ma simmetricamente si è espresso Oscar Luigi Scalfaro che in un’intervista a Repubblica del 15 luglio non trova nulla da ridire sul fatto in sé, volendosi mantenere «al di là e lontano dalla morbosa curiosità che può facilmente subentrare», ma sottolinea piuttosto che «gli interrogativi che vengono posti […] presentano degli oggettivi profili di tutela dello Stato nei suoi poteri e nell’attività all’interno e più ancora all’esterno del Paese, e nell’intreccio dei suoi rapporti internazionali. Non dimentichiamo che donne come quelle di cui si parla e scrive sono le destinatarie, in genere, di chi fa spionaggio in casa nostra».
Insomma – in una classica inversione dei ruoli – il pericolo sarebbe rappresentato non da un Presidente che abusa dei suoi poteri a fini sessuali, ma da donne di dubbia moralità, prostitute e potenziali spione, che con i loro abbracci e le loro carezze insinuanti minerebbero la saldezza virile dello Stato. È vero che qualche ricatto c’è stato, esplicito o implicito. Ma a quanto pare motivato dal non assolvimento da parte del premier dei termini del “contratto” con aspiranti attrici, donne in difficoltà o con i genitori di ragazzine cui erano state indebitamente promesse delle “occasioni”, piuttosto che da oscure Mata Hari inviate da chi sa quale potenza straniera.
Come ha scritto Ida Dominijanni sul Manifesto del 14 luglio «finché l’opposizione – politica e intellettuale – non troverà le parole per dire qual è l’elemento insopportabile della berlusconeide degli ultimi due mesi non troverà di conseguenza nemmeno l’elemento irrinunciabile della propria battaglia. E l’elemento insopportabile non è né l’esuberanza o l’edonismo del premier né i suoi gusti o le sue preferenze sessuali, né la quantità di amanti che gli piace esibire. È l’uso sistematico di un sistema di scambio sesso-danaro-potere, quale risultava fin da subito dalle parole di sua moglie e quale è stato confermato dalle inchieste giornalistiche».
Perfino la Chiesa cattolica ha tardato a prendere posizione, ma quando si è decisa lo ha fatto con più durezza, attraverso le parole del segretario generale della Conferenza episcopale italiana, Mariano Crociata, che condannando il «libertinaggio gaio e irresponsabile» del Presidente ha affermato: «Nessuno deve pensare che in questo campo non ci siano gravità di comportamenti o che si tratti di affari privati, soprattutto quando sono implicati minori, cosa la cui gravità grida vendetta al cospetto di Dio». Tuttavia anche in casa cattolica spesso le reazioni tradiscono un’idea stereotipata degli uomini e del loro rapporto con il sesso, basata su una rappresentazione animalesca cui andrebbe opposto un virile autocontrollo. Il presidente della Cei, cardinale Bagnasco, in un discorso ai fedeli ha a sua volta invitato al «dominio degli istinti», mentre sulla stessa linea Crociata ha parlato di un «disprezzo esibito nei confronti di tutto ciò che dice pudore, sobrietà, autocontrollo».
Certamente è diffuso fra gli uomini un problema di sessualità compulsiva, una necessità di “conquistare” o “disporre” di molte donne, continuamente, ma mi domando se questa compulsività, questo bisogno di accumulare prestazioni una dopo l’altra sia espressione di una pulsione “bestiale”, ovvero derivante da un residuo di animalità non dominato da un controllo evolutivamente e moralmente superiore, oppure al contrario sia un riflesso di una spinta insieme psicologica, culturale e sociale tutt’altro che naturale o incomprensibile.
Gli elementi che potrebbero essere richiamati a questo proposito sono diversi. In primo luogo uno smisurato narcisismo che coincide con il bisogno di mettersi in mostra ed essere continuamente riconosciuti, ammirati e adorati per ciò che si possiede (case, macchine, gioielli), per ciò che si è realizzato (monumenti, grandi opere) o per il posto prestigioso che si occupa (il più “in vista” possibile). In secondo luogo un godimento del potere fondato sul bisogno di emergere sugli altri e di mettere alla prova ed esibire la propria potenza sessuale. E infine una dipendenza profonda dalle donne, come fonte di riconoscimento e di supporto, dissimulata attraverso il controllo tramite soldi, regali e promesse (o nel peggiore dei casi violenze). Questo spiega perché nessun altro al pari della moglie poteva colpire Berlusconi laddove si fonda l’immagine narcisistica di se stesso, dell’uomo di successo che non può che essere amato o adorato.
Più in generale emergerebbe qui un legame profondo tra potere, sessualità e narcisismo che non a caso ritorna in molti capi di stato o di governo. Il riferimento qui non è al caso del tutto differente di Bill Clinton e Monica Lewinsky, ma a quello ben più grave del presidente israeliano Katsav accusato di violenza sessuale nei confronti di numerose donne. Un caso tra l’altro al centro di una famosa gaffe di Vladimir Putin nel corso di un incontro con il premier israeliano Ehud Olmert al Cremlino nell’ottobre del 2006. Pensando che i microfoni dei giornalisti fossero spenti, Putin non si fece scrupolo di trasformarlo in argomento di scherzo col premier israeliano: «Katsav si è rivelato un uomo forte, ha stuprato ben dieci donne! Non me lo sarei mai aspettato da lui. Ci ha sorpreso tutti, lo invidiamo». Se poi si pensa che il letto su cui si sarebbe consumato, fra gli altri, la notte di sesso con la escort Patrizia D’Addario è un lettone a baldacchino barocco donato dal Presidente Putin, sorge il dubbio che tra i due Presidenti ci sia una certa intesa in fatto di abbinamento tra potere politico e performance sessuali.
Per concludere rimangono da approfondire alcune questioni. In primo luogo il fatto che oggi, di fronte al disfacimento del patriarcato, il conflitto sessuale assume un’importanza più evidente che mai. Questo conflitto non riguarda solo il confronto uomo-donna ma anche un confronto tra donne sull’interpretazione della libertà femminile e parallelamente un confronto tra uomini attorno al ripensamento della sessualità e del potere maschile. Dai risultati di questo triplice confronto dipende la forma che assumerà la politica nell’immediato futuro.
In secondo luogo è chiaro che si sta giocando uno scontro decisivo sul terreno dell’immaginario. Oggi, per una fetta degli italiani e delle italiane, il desiderio di successo, di apparire nei salotti buoni o nella televisione, è più forte di qualunque altra cosa. Per un verso occorrerebbe promuovere una conoscenza più consapevole delle dinamiche e delle illusioni del potere. Come scrisse acutamente la scrittrice indiana Arundhaty Roy nel suo libro “La fine delle illusioni”: «Il potere si rafforza non solo con ciò che distrugge, ma anche con ciò che crea. Non solo con quello che prende, ma anche con quello che dà. E la mancanza di potere è riconfermata non solo dall’impotenza di chi ha perso, ma anche dalla gratitudine di coloro che hanno (o credono di aver) guadagnato».
Tuttavia per modificare questo orizzonte non basta denunciare le illusioni del potere, occorre contemporaneamente mobilitare desideri più potenti, ancorati ad un’esperienza dell’esistenza più intensa e a relazioni tra i sessi più complete e gratificanti perché fondate sulla libertà e sul riconoscimento reciproco.