Una donna vestita con un abitino da lavoro di casa giace morta o quasi morta in mezzo a una gran cumulo di spazzatura. Il colore è il bianco e nero e le prime immagini ti fermano il boccone alla gola, perché pensi a uno stupro. Ma una voce fuori campo spezza i tuoi pensieri e dice che a “Napoli avevamo un grande problema, non c’è bisogno di dire quale perché lo conosciamo tutti. Poi siamo arrivati noi e lo abbiamo risolto”. Intanto la spazzatura viene rimosso da donne e uomini volenterosi; le immagini prendono colore e la finta morta si sveglia per passare a sorridere in piedi davanti a uno sfondo bianco abbagliante, modello pubblicità da disinfettante sanitario. Sorride e con un accento napoletano degno delle migliori interpretazioni dell’Angela Luce di un tempo dice qualcosa del tipo “Napoli, bella ieri, bella oggi, bella domani”. A strozzarti definitivamente col boccone di prima e il marchio presidenza del Consiglio. Si tratta infatti della pubblicità istituzionale da campagna elettorale che il governo ha messo in piedi per vantare la risoluzione del problema spazzatura a Napoli.
Nulla da dire: a Napoli, la mia città, la spazzatura si vede oggi assai poco. E per rappresentare il degrado che fu c’era proprio bisogno di rappresentare Napoli con l’immagine di una donna svenuta tra la spazzatura, con un pomodoro marcio su una coscia? A chi sarà mai venuto in mente – in un momento in cui la violenza contro le donne è al massimo allarme – di scegliere una icona sofferente in attesa di essere risuscitata? Quella pubblicità offende e stona al tempo stesso, perché la potenza evocativa delle immagini può più di cento parole, perché alla spazzatura che dilaga associamo più facilmente i ratti che le donne e solo pochissimi anni fa ci sono stati uomini in Italia che hanno fatto a pezzi le loro compagne e le hanno poi gettate nel cassone dei rifiuti. Napoli-donna-rifiuti-abbraccio-benefico della resurrezione: c’è da farne una lezione di strategia della comunicazione.
Per Napoli la leggenda vuole una nascita nobile: una sirena morta e piaggiata, sepolta da quelli che piangevano la scomparsa di tanta bellezza; luogo di culto, memoria di splendore. Un sirena, appunto, non una finta casalinga-colf sommersa dai rifiuti.