Rosa / Nero

uomini e donne nella cronaca di tutti i giorni

Le ronde e il corpo femminile

28 Febbraio 2009
di Letizia Paolozzi

Dunque, nel ’76 le femministe – e io con loro – facemmo una manifestazione. La parola d’ordine (ricordata da Fabrizio Rondolino sulla “Stampa“) era “Riprendiamoci la notte“. Slogan più gettonato: La notte ci piace, vogliamo uscire in pace.

Antefatto: nel 1975 “il delitto del Circeo“ sconvolge l’opinione pubblica. Tre pariolini di estrema destra (Guido, Izzo e Ghira) infieriscono su due ragazze di borgata. La provenienza sociale degli assassini e la loro collocazione nei gruppi fascisti significano un’equazione, abbracciata dalla sinistra: chi stupra è – non può che essere -un fascista.
Trenta anni dopo, Izzo ucciderà ancora. Due donne, madre e figli.
Tuttavia, la manifestazione non di fascismo parlava bensì della matrice maschile della violenza.

Nel 2008, a Parigi, le donne sono invitate a “manifestare di notte per non farsi calpestare di giorno“. Nel volantino si legge: “Le violenze non hanno orario e sono ovunque: nelle case, per strada, al lavoro…
Quando usciamo di notte siamo considerate a disposizione degli uomini.
Lo spazio pubblico (metro-autobus, parchi, bar, strade) cosiddetto neutro, è ricoperto di immagini di donne «accessibili», che banalizzano la cultura dello stupro.

Adocchiate in bicicletta, criticate quando usciamo con i figli, fischiate
sui marciapiedi…
Noi vogliamo essere libere di uscire di giorno come di notte“.

Il problema è di nuovo e sempre della sessualità maschile.
Lo ribadisce Luciana Litizzetto: Se incontro dieci uomini insieme, da cosa capirò se sono gli stupratori o i miei difensori?
Non che io sia contraria a essere difesa. Per la strada, di notte, non mi sento sicura. Sono diffidente. Mi ritrovo sguarnita. Sto sulla difensiva. Devo prestare attenzione ai passi dietro le spalle, guardarmi intorno, cogliere con uno sguardo se la strada è vuota, il capolinea deserto, la fermata della metropolitana scarsamente illuminata.
Nel complesso non è una bella sensazione. Ma è storia antica (preesiste all’insicurezza sociale e economica) del corpo femminile. Predisposto all’accoglienza. Terrorizzato dalla violenza. Come posso reagire se non voglio (e non posso) chiudermi in casa?
Nel Settantasette Renato Nicolini con l’Estate romana aiutò a vincere la paura. Oggi, illuminare le zone buie, prolungare le corse degli autobus, piazzare le colonnine Sos è il programma minimo degli amministratori pubblici. Ma teemo che la questione della sessualità maschile non si risolva con qualche lampada in più.
Anche le ronde io non le scarterei. Se la comunità si riappropria del suo territorio; se abitanti del mio quartiere con ex delle forze dell’ordine e iscritti a un elenco delle prefetture danno prova di buon vicinato; se non succede, come a Padova, che gli agenti e i carabinieri devono vigilare sui rondisti; se nelle ronde ci si comporta da bravi samaritani senza armi (come i volontari che portano le coperte ai barboni o i nonni che aspettano i bambini all’uscita della scuola), non è una brutta cosa.

Anzi. Può rivelarsi una cosa educativa. Magari, trasformandosi in una ronda, eviteranno come branco di dare la caccia (sarà questo lo “spontaneismo emotivo“ contestato dal procuratore di Asti nonché segretario dell’ala noderata dell’Anm?) i romeni, indiani, senegalesi, tunisini. Eppure, anche la ronda non placa la mia insicurezza.
Probabilmente, porto ancora l’imprinting (le giovanissime si sentono più sicure) di una supremazia fisica maschile, della matrice maschile della violenza, che molti uomini, a Dio piacendo, hanno cominciato a mettere in questione. Certo, la natura delle relazioni tra i due sessi sta cambiando.
Se però ci si comporta come se non fosse questo il cuore del problema, i rondisti magari si divertiranno nel nuovo, responsabile lavoro che li aspetta, ma il senso di insicurezza mio e di tante altre, non scomparirà.

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