A Roma, come in grande parte d’Italia, tira un’ariaccia. Non più il ponentino da cartolina che spirava a rinfrescare la città eterna, ma insieme alle buche e alla sporcizia, buone compagne sono la povertà, la diffidenza, il totale degrado dei rapporti umani, quelli che si trascinano stanchi nelle alzate di voci agli incroci tra automobilisti e quelle davvero orripilanti per eccesso di presenza o di assenza nei palazzi della politica.
Corpi tirati dentro le polemiche e i luoghi comuni, tra loro quelli dei bambini, italiani e stranieri, che le madri della scuola Carlo Pisacane vogliono dividere a ogni costo. La scuola ospita i bambini del quartiere di Tor Pignattara, di vocazione popolare e oggi densamente abitata da cittadini stranieri. I figli di questi ultimi arrivano al 57% e in una intervista ripescata dalla rete e risalente a un anno fa leggo che la dirigente scolastica ribadiva che questo dato poteva essere un limite ma anche una carta vincente, utile a creare un modello didattico pilota per l’insegnamento dell’italiano e delle altre materie a stranieri e italiani stessi: la scuola infatti si avvale di specialisti e pedagogisti che affiancano i docenti e riceve fondi speciali extra a supporto di programmi pilota, dice sempre la dirigente. Poi succede che le madri italiane scrivono a inizio d’anno alla ministra Gelmini per annunciare che non iscriveranno i piccoli ariani alla scuola Pisacane, perché è un vero scandalo avere classi con soli tre bambini italiani a marchio dop in mezzo a tanti stranieri. Intervistata in radio, la madre portavoce ci tiene a dire che non si tratta di razzismo, perché la loro preoccupazione è puramente didattica: cosa impareranno mai i piccoli italiani quando le maestre dovranno rallentare a causa della presenza di non madre lingua in classe? Certo, penso ascoltando la radio, l’obiezione non è del tutto peregrina, anche io ho chiesto al preside della scuola di mio figlio come si sarebbero regolati con la didattica in presenza di 13 studenti ripetenti su 28…Poi alla signora scappa la mano e dice: e poi, che disagio, quel presepe natalizio a scuola in cui comparivano una moschea e una donna col burqa! Il razzismo delle madri romane del Pisacane scivola su un velo nero che qualcuno con mano sapiente ha infilato nel presepe, baluardo e simbolo della cristianità che oggi affida ai preti di provincia la carità verso i poveri e ai portavoce porporati la connection con il governo, sia che si decida della vita di Eluana Englaro, sia che si tuoni perché non vengano sottratti gli aiuti alla scuola privata. Nell’ottusità della discriminazione è più facile togliere una figurina scomoda dal presepe che protestare per le pubblicità con le donne nude di cui i pargoli si beano davanti alla tv, magari abituandosi a una idea di un corpo femminile così facile da prendere, che magari a tredici prendi un badile e violenti una compagna.
Lo so, forse dalla scuola Pisacane sono andata troppo lontano. Perché è molto lontano da qui che oggi vorrei stare.