L’onda va avanti e non si ferma! Inonda strade, piazze, assemblee, costruisce nuovi linguaggi, apre spazi di discussione, pratica l’autorganizzazione come forma di agire politico.
Noi donne in onda della Sapienza vogliamo portare avanti sia un’analisi politica, sia nuove pratiche di movimento che aprano spazi per tutte e tutti.
La mobilitazione, partita dalla battaglia contro i decreti 133 e 137, ha allargato il suo campo d’azione e di rivendicazione. A partire dalle scuole primarie l’onda è dilagata nelle scuole e nelle università ponendo al centro la questione dell’autonomia economica, politica, esistenziale.
L’onda anomala vede il protagonismo delle donne nel movimento. Sono state le donne ad accendere la protesta: sono state le maestre e le mamme che hanno contestato il decreto Gelmini non solo per tagli consistenti ai posti di lavoro, ma anche per quelli alle ore di scuola. Con la riduzione del tempo- scuola da 40 a 24 ore, l’attacco al progetto educativo diviene complessivo. Il tempo pieno, infatti, rappresenta un modello educativo in cui la madre da un lato non è l’unica referente della formazione e della educazione affettiva, e dall’altro permette l’espressione di un’autonomia attraverso la liberazione di tempi di vita.
La precarietà estende l’assenza di garanzie e la discontinuità di reddito a tutte le figure lavorative.
Le conseguenze sono sotto i nostri occhi ogni giorno nelle università, dove il lavoro è spesso gratuito, sotto forma di stages e tirocini, o semi-gratuito con le docenze a contratto, peraltro regolate da criteri di reclutamento arbitrari. Arbitrarietà che per le donne aggiunge l’aggravante di venire discriminate per il fatto stesso di essere donne. La maternità (o la sua potenzialità) diventa un motore di espulsione dal lavoro, incidendo negativamente sulle assunzioni e le stabilizzazioni. Se in Italia la percentuale delle donne laureate è il 55% del totale, quella delle ricercatrici scende al 29%.
L’accesso delle donne al mondo del lavoro è ormai riconosciuto come condizione diffusa (anche se in Italia limitata, abbiamo infatti uno dei tassi di occupazione femminile più bassi d’Europa), ma con le attuali politiche assisteremo ad una trasformazione dei tempi di vita delle donne. Prendiamo ad esempio tutti quei casi in cui le donne, pur di non perdere il loro lavoro precario, si trovano a dover scaricare il lavoro di cura su altre donne: le nonne o le migranti e le giovani precarie a cui consegneranno parte o tutto il loro stipendio.
Il corpo delle donne viene attraversato da linee di potere specifiche e il conflitto di genere vive nelle nostre relazioni, come vediamo nel mondo delle università, della ricerca e del lavoro.
Non crediamo che il sapere sia neutro, non crediamo alla parità tra i generi quando proprio nell’università è evidente come nella gerarchia di potere le donne non arrivino quasi mai ai vertici della piramide, basta vedere il numero bassissimo di docenti ordinarie.
C’è una cecità di genere e noi siamo intenzionate a vederci chiaro. Dobbiamo e vogliamo mettere in gioco i nostri desideri e le nostre rivendicazioni. Riteniamo che, dentro l’università, esista una completa assenza di dibattito e di studi che affrontino le tematiche di genere, proprio per questo pensiamo che la didattica ufficiale debba affrontare tali questioni, attraverso la partecipazione diretta delle studentesse e delle ricercatrici; così come al contempo rivendichiamo la necessità di costruire momenti di autoformazione, attraverso cui costituire saperi differenti.
Il corpo delle donne continua ad essere il veicolo di politiche securitarie, approvate a colpi di decreti, come il pacchetto sicurezza che individua nell’immigrato l’unico colpevole delle violenze, o come il D.d.L. Carfagna che, criminalizzando le prostitute, controlla e gestisce i comportamenti e i modi di esistenza di tutte le donne. La presunta vulnerabilità delle donne diventa un espediente per giustificare tutte le misure di controllo, dalla militarizzazione delle strade alla criminalizzazione dei migranti.
Vogliamo un welfare che consenta l’indipendenza delle donne.
Vogliamo un consultorio in tutte le scuole e le università, così come un’educazione che parli di sessualità sin dalle scuole elementari.
Non vogliamo pagare noi la crisi, non vogliamo rispondere all’appello al sacrificio, non vogliamo delegare a nessuno le decisioni sul nostro presente e sul nostro futuro, non vogliamo subire un controllo sempre più pervasivo.
Riteniamo fondamentale portare questo dibattito nelle università in mobilitazione, farlo vivere nella proposta di autoriforma e declinarlo nelle rivendicazioni del movimento .
Il 22 novembre, alla manifestazione nazionale contro la violenza maschile sulle donne, vogliamo costruire uno spezzone nazionale come studentesse, ricercatrici e dottorande che porti la forza e la determinazione dell’onda.
Non sarà un punto di arrivo, ma un momento di denuncia e di reazione sulla violenza contro le donne.
Saremo onda ancora una volta: riprenderemo i nostri spazi invaderemo e bloccheremo la città.
Perché non saranno i nostri corpi né i nostri desideri a pagare la crisi!
Donne in onda della Sapienza in mobilitazione