Rosa / Nero

uomini e donne nella cronaca di tutti i giorni

Ma su “papà” Cofferati ho un dubbio

12 Ottobre 2008
di Letizia Paolozzi

Dopo “la scelta“ di Sergio Cofferati, la massa di commenti, opinioni, interviste ha dilagato sui media. Evviva, hanno sottolineato molte giornaliste, siamo di fronte a un uomo pubblico che decide di dedicarsi al privato. Perla rarissima anche ai nostri giorni.
Saremmo finalmente al rovesciamento dei ruoli con il “sesso forte“ che accetta di trasformarsi in “sesso debole“: un uomo rinuncia al potere per andarsi a mettere nell’ombra. Commozione generale. Applausi del grande pubblico.
In genere a Cofferati si riconosce la buona fede: si tratta di un personaggio non facile, spigoloso, ma sincero. Contano poco o niente i motivi meno nobili come il rischio di perdere la nuova competizione a sindaco.
Il fatto che la sinistra ce l’abbia su con lui per la decisione di sgomberare i rom; per la guerra ai lavavetri. I veri bolognesi ne rimproverano la debole bolognesità (non si sarebbe presentato alla festa per il ritorno della squadra in serie A). Tutto questo non ha importanza. Colpisce menti e cuori il suo rifiuto della politica.
In effetti, per il senso comune è assodato che nella politica domina il maschilismo e l’incapacità di conciliare pubblico e privato da parte del sesso maschile. Con le difficoltà che ricadono sulle spalle delle donne.
Se un uomo che è stato leader riconosciuto della sinistra (quasi stucchevoli le citazioni nei pezzi e nelle immagini del Cofferati a capo dei tre milioni convenuti a Roma contro l’art. 18), annuncia di voler mettere da parte la sua carriera per “fare il padre”, il gesto di colpo ha un grande valore.

Quando un maschio “potente“ mette in scena una simile narrazione, sugli altri politici non può che calare un velo di imbarazzo. Ecco qua, loro, i reprobi, incollati alla poltrona, dimentichi degli affetti familiari.
In effetti, da un sondaggio del “Corriere della Sera“ risulta che il 77,3% dei lettori pensa sia giusto lasciare l’incarico di sindaco e dunque la politica per la famiglia. La famiglia è cosa buona; la politica cosa cattiva. O sporca. O inutile.

Sarà per questo che i media hanno completamente rimosso l’altra dimensione “privata” di Cofferati: il fallimento del precedente matrimonio, il modo in cui la prima moglie (raccontano le cronache che si erano conosciuti da ragazzini e mai più abbandonati), dopo averlo seguito nella campagna elettorale alla sindacatura, si è allontanata da Bologna. Non abbiamo ascoltato un accenno che fosse uno alla sua precedente esperienza di padre. Nessuno lo ha ricordato.

Grande civiltà, direte voi, quella italiana. Mica siamo negli Usa dove la vita sentimentale, famigliare, maritale viene passata ossessivamente al vaglio dei media.
Ci sarebbe poi un’ultima domanda piuttosto oziosa sulla quale fare un piccolo sondaggio: siamo sicuri che il mestiere della politica non possa venire esercitato con i ritmi e i tempi che consentono anche una vita affettiva e relazionale? E il ragionamento non andrebbe esteso a qualunque lavoro di uomini e donne, politica compresa?
In questi giorni circola un libro (edito dalla Libreria delle Donne di Milano) sul “Doppio sì“ delle donne: un sì al lavoro e alla maternità, senza rinunciare all’uno e all’altra. Potrebbe esserci un doppio sì anche maschile? Sempre che la politica, per quanto esiga passione e professione, non sia intesa come una specie di mostro totalmente divorante.

E sempre che gli uomini non somiglino a quel presidente americano del quale si diceva che non riuscisse a compiere due azioni insieme: masticare il chewingum e scendere dalla scaletta dell’aereo.

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