Locale / Globale

relazioni politiche, dal quartiere al mondo

A proposito di quote rosa

27 Giugno 2008
Intervento all'assemblea del 21 giugno organizzata dalla "femministe del mercoledì"
di Lalla Trupia

Le elezioni politiche, con il loro lascito fallimentare, sono ormai alle nostre spalle.
E’ dunque possibile, oltre che doveroso, introdurre un bilancio critico delle donne della sinistra che parta dal riconoscimento del proprio essere parte di quella cocente sconfitta. L’ininfluenza del punto di vista di genere, nel progetto della Sinistra L’Arcobaleno ha fatto da controcampo all’insopportabile leaderismo maschile che ha contrassegnato la nostra campagna elettorale e le scelte delle candidature, anche femminili, nelle nostre liste.
Penso che di questo dovremo parlare con coraggio, avanzando proposte nuove, all’incontro di oggi, se non vogliamo farne un’occasione inutile e di routine.
Di una svolta seria dal punto di vista della cultura e delle pratiche politiche c’è bisogno per tentare di ricostruire un progetto spendibile della sinistra italiana sopra le macerie di questi anni.
E un nuovo pensiero femminista può essere linfa vitale per una riflessione che appare verticistica, interna, limitata a una pura e semplice resa dei conti del ceto politico, lontana in modo siderale dalla realtà che il voto di aprile crudamente ci consegna.
E il voto ci dice che esiste una profonda crisi di rappresentanza culturale e sociale che investe come un ciclone il nostro campo, quello della sinistra e dell’intero centrosinistra.
Questo ciclone rischia di spazzare via anche ogni rappresentanza di genere degna di questo nome.
La riflessione dovrà essere dunque coraggiosa e impietosa anche per noi donne della sinistra. Dovrà investire in modo critico pratiche consolidate e i risultati tutt’altro che soddisfacenti di strumenti ritenuti finora utili.
Tra questi, in primis le cosiddette “quote rosa”.
Una riflessione obbligata se solo si guarda alla modestia dei risultati ottenuti finora: un numero ancora esiguo di elette siede in Parlamento nonostante le roboanti promesse di tutti i partiti, o quasi, alla vigilia della presentazione delle liste elettorali. E la presenza di gruppi parlamentari della Sinistra non ha modificato significativamente questo dato: le donne elette alla Camera sono il 21,27% e in nessun gruppo raggiungono la quota del 30%.
Ma non è per questo – per constatare l’esito del tutto deludente in termini numerici dell’uso delle quote – che prendo carta e penna e intendo proporre una riflessione aperta.
Resto ancora del parere che ogni strumento volto a superare l’anomalia democratica di un paese a persistente rappresentanza maschile debba essere messo in campo. Dunque anche le quote.
Ma è sulla scarsa qualità politica della rappresentanza di genere che producono e sul quasi assoluto potere maschile nel loro utilizzo che sento il bisogno di un confronto aperto.
Spero – e non è certo questa la mia intenzione – di non urtare la sensibilità di chi come me si è battuta e si batte da anni perché la democrazia italiana sia in grado di rimuovere una delle sue più gravi anomalie: un maschilismo istituzionale tra i più tenaci in Europa e nel mondo.
Ma la piega che hanno preso le cose negli ultimi anni, mi trova più che perplessa quasi indignata e amareggiata. Per essere elette nelle istituzioni o in organismi dirigenti conta più la ”protezione “ dell’uomo “giusto” che il merito e le competenze. Non vale sempre naturalmente, ma in tanti-troppi casi.
C’è da chiedersi : perché uno strumento voluto testardamente dalle donne non è un’opportunità in più nelle mani delle donne?
Le quote furono introdotte per la prima volta in Italia nel 1987, al Congresso Nazionale del P.C.I.
Lo ricordo bene, perché fui io, allora Responsabile Nazionale delle donne Comuniste, insieme al gruppo dirigente delle compagne di quel partito, a prendere una decisione per quei tempi coraggiosa, quasi rivoluzionaria. Chiedemmo formalmente al Congresso che nell’elezione dei gruppi dirigenti la rappresentanza femminile non fosse inferiore al 25%.
Oggi può sembrare una quota modesta, ma fu combattuta aspramente e aspramente contestata e introdusse per la prima volta a tutti i livelli di direzione del P.C.I., primo partito in Italia, un numero maggiore di dirigenti donne, ma soprattutto donne giovani, brave, combattive.
L’allora coordinamento femminile, con un’autonoma decisione democratica, aveva l’onere di avanzare una proposta di candidature femminili che poi veniva ratificata e discussa dall’organismo dirigente.
Quelle candidature portavano in un partito pesante e piuttosto conservatore sul tema dei diritti di libertà una inequivocabile innovazione culturale, dovuta non solo alla giovane età, ma all’esperienza del femminismo e delle lotte delle donne di cui erano parte integrante e significativa.
Le donne immesse grazie a quella ancora piccola quota (il 25%) sono diventate dirigenti locali e nazionali di primo piano.
Sono diventate negli ultimi 20 anni parte fondamentale dei gruppi dirigenti della sinistra e delle donne.
Insomma le quote mettevano nelle mani delle donne di quel partito l’autorevolezza e il potere di scegliere una parte maggioritaria della rappresentanza di genere e il risultato era eccellente dal punto di vista della qualità e dell’innovazione dei gruppi dirigenti.
LE DONNE VENIVANO SCELTE SOPRATTUTTO DALLE DONNE E DUNQUE PORTAVANO NEI PARTITI LA FORZA DELLA CULTURA FEMMINISTA E UNA CARICA COLLETTIVA DI VOLONTA’ DI CAMBIAMENTO RADICALE DELLE REGOLE E DELLE PRATICHE DELLA POLITICA.
Insomma le donne contavano, condizionavano e decidevano al posto degli uomini, almeno nella scelta della rappresentanza di genere. Ed è per questo, oltre che per la forza delle esperienze maturate fuori dai partiti, che acquistavano autorevolezza e acquisivano un po’ di potere. E’ per questo che le quote hanno prodotto qualità e non solo numeri.
Oggi la rappresentanza femminile viene scelta quasi esclusivamente dai maschi dei partiti, anzi dal leader di turno o dai capi e capetti sparsi per l’Italia.
Mi si può obiettare: ma non è quello che succede anche ai colleghi maschi in questi partiti oligarchici o plebiscitari?
Sì, è vero. Infatti mai come ora (e la legge elettorale ha fatto il resto) c’è uno scadimento drammatico della qualità dei gruppi parlamentari e delle classi dirigenti italiane.
I maschi, anche quelli senza qualità e con pochi meriti, restano sempre una schiacciante maggioranza, ma con a fianco una minoranza di donne scelte dai più forti tra loro a propria immagine e somiglianza.
Insomma le quote rosa gestite dagli uomini potenti promuovono per lo più e fin che possono donne, se non plaudenti o adoranti, spesso subordinate e rassicuranti.
Se non hai il “paternage” di un “uomo che conta” o sei eccezionale o “non passi”.
E’ stata sgradevole l’impressione, nella formazione delle liste, che le donne tornassero ad essere il fiore all’occhiello quando non l’espediente da parte di un uomo per “far fuori” un altro uomo concorrente.
Il patriarcato nella politica sta distruggendo l’autonomia femminile. E non è un caso se abbondano in Parlamento mogli, segretarie, assistenti parlamentari o giovani che assomigliano più alle veline (con tutto il rispetto per le veline) che alle ragazze capaci e straordinarie che ormai abbondano nella società e nelle professioni.
Non mi interessa la litania secondo la quale è la politica che è caduta in basso, che i partiti sono oligarchici e un po’ tutti berlusconiani, che non esistono più i grandi movimenti, che ciò che vale per i maschi vale anche per le donne, etc.etc.etc.
Non mi interessa più.
Possiamo ricominciare da noi?
Possiamo coraggiosamente dirci che anche tra le donne della sinistra si è diffuso un comportamento non dissimile da quello in voga? Possiamo riconoscere che persino tra le donne in questi anni è cresciuto un piccolo potere femminile oligarchico, centralista, poco democratico che tende, esattamente come tra i maschi, a riprodurre in modo autoreferenziale il ceto politico femminile dentro i partiti, non favorendo ma bloccando l’avvio di un serio rinnovamento generazionale e politico delle donne?
Per questo oggi dobbiamo tentare di mettere la riforma della politica, dei partiti e della sinistra al centro di una riflessione comune.
Possiamo dire che se le quote servono a portare in Parlamento donne che non rappresentano la cultura di genere e spesso di poca qualità a noi non va bene questo uso “malsano”delle quote?
O meglio vogliamo dire che è urgente RICOSTRUIRE UN PENSIERO E UNA PRATICA AUTONOMI DELLE DONNE PER CONQUISTARE SPAZI REALI DI POTERE E RAPPRESENTANZA?
Per quale sinistra vale la pena di spendersi se non per una sinistra in cui le donne possano “coabitare con agio” e con autonomia in partiti o movimenti davvero di uomini e di donne?
Basta dunque con le quote usate dagli uomini. Basta con le donne che si comportano come gli uomini. Riportiamo la forza delle donne nelle mani delle donne.
DIAMO VITA A UN PATTO COMUNE TRA NOI, RICONOSCENDO LE NOSTRE DIFFERENZE E DANDOCI RECIPROCO VALORE.
Riportiamo gli strumenti voluti dalle donne nelle mani delle donne. E facciamolo, riportando in vita spazi partecipativi e autenticamente democratici delle donne. Altrimenti decideranno gli uomini al nostro posto o ogni donna farà per sé,come potrà.
Assumiamoci la responsabilità di non portare a fallimento le ragioni ancora vive di quella pacifica rivoluzione femminista iniziata nel secolo scorso e certo non ancora conclusa.
Per questo con le ragazze di oggi dobbiamo trovare parole nuove, sperimentare pratiche democratiche, ricostruire insomma la POLITICA DELLE DONNE.
Torna – a me pare – più che mai attuale la ricostruzione di un soggetto, o di più soggetti “collettivi “delle donne nella società e nei partiti.

Featuring Recent Posts WordPress Widget development by YD