Sono stato invitato – e ringrazio dell’invito Silvia Neonato – a discutere del libro di Luisa Passerini “Autoritratto di gruppo”, uscito nel 1988 e ora ripubblicato da Giunti. Dopo altri vent’anni, resta un testo molto attuale e importante sul ’68, arricchito da una postfazione in cui l’autrice dice cose interessanti su quegli anni come luogo di memoria e di oblio. Forse più di oblio e di rimozione che di memoria. Almeno se per memoria si intende anche un solido risultato in termini storiografici, e un giudizio condiviso nel discorso pubblico.
Luisa Passerini, anche nel dibattito genovese al quale ho partecipato, ha ricordato come il ’68 resti un bersaglio attuale: ricordate la filippica pronunciata da Sarkozy durante la sua campagna elettorale? Ma gli esempi potrebbero essere innumerevoli, anche pescando nel quotidiano “rumore” dei media attorno al quarantesimo anniversario.
Agganciandomi alla considerazione sull’attualità del ’68, almeno come bersaglio polemico da parte della “reazione”, ho sostenuto un po’ provocatoriamente questa tesi: la memoria del ’68 è ancora incerta e lacunosa per il semplice fatto che il “lungo” ’68 italiano – ma non solo italiano, direi – non è ancora finito. I suoi critici non attaccano un fantasma, ma una tendenza ben viva e in atto nella nostra società.
Naturalmente dove si trovi attualmente quel che resta del ’68 bisogna saperlo vedere: secondo me lo spirito della prima fase sessantottesca, permeato di una felice battaglia culturale libertaria contro l’autoritarismo, il nozionismo, l’ipocrisia dei costumi borghesi e piccolo-borghesi, è stato elaborato soprattutto – e per vie contraddittorie e complesse – dal femminismo. Anche Luisa Passerini parla nel suo libro della “divisione di genere” che ha attraversato il ’68 e della “presa di distanza delle donne” che a un certo punto le portò da un’altra parte.
Ci fu una rottura generazionale, politica e culturale: gli studenti e, soprattutto in Italia, gli operai. Ma il taglio più profondo fu poi prodotto dal separatismo femminile e dalla costruzione di una soggettività nuova, che non ha cessato di operare in tutti questi anni nel gioco delle relazioni tra sessi e generazioni, operando un mutamento radicale del nostro modo di vivere. Un mutamento avvenuto sostanzialmente fuori dai canali tradizionali della politica. Mentre una parte delle energie attivate dal ’68 si dissipava nella tragedia del terrorismo e in una critica della politica sostanzialmente incapace di scoprire strade davvero nuove.
La crisi – che le elezioni recenti hanno dimostrato sempre più acuta – della sinistra politica, in particolare, è quasi tutta ascrivibile alla pervicace incapacità di vedere e di elaborare questo mutamento.
La sinistra “radicale”, che solo con grande ritardo è giunta a un posticcio cartello elettorale unitario, pur essendo in misura maggiore “contaminata” da una cultura politica non del tutto inconsapevole delle scoperte pratiche e teoriche del femminismo, non ha saputo in alcuna misura trarne giovamento per la propria azione, per il proprio linguaggio e la propria immagine.
Ha ignorato, e ignora, il principio fondamentale elaborato dalle donne, il “partire da sé”. Nessuna elaborazione credibile del proprio ruolo svolto in una esperienza inedita di governo dentro un’alleanza con altre forze democratiche e moderate – in un contesto nazionale e globale assai preoccupante – è venuta prima, durante e dopo una campagna elettorale perdente per vocazione, si direbbe, con i suoi toni faziosi e da ultima spiaggia.
E oggi assistiamo al clima di squallida “resa dei conti” tra gruppi dirigenti maschili allo sbando. L’appello a non disperdere il poco di buono che si è tentato, venuto dall’assemblea di Firenze da un intellettuale gentile come Paul Ginsborg, e per la verità da molti e molte altre, è stato – almeno finora – completamente ignorato.
Naturalmente se si gira lo sguardo altrove, nel panorama dei partiti, non è che ci si allarghi il cuore. La scelta di “correre da solo” ha portato il Pd di Veltroni, con l’inconsapevole consenso autolesionistico di Bertinotti, ad una strana sorta di vittoria-sconfitta di Pirro, piena di incertezze e contraddizioni. La destra del Pdl, tra l’armata del Sud di Lombardo e quella del Nord di Bossi, sembra ancora distante dall’idea di una forza moderata di ispirazione europea. Dalle nostre parti si trae ispirazione dal Bagaglino e da Putin piuttosto che da De Gasperi o Adenauer.
Del resto le certezze oggi sono poche anche in Europa, e in tutto il mondo.
Un fatto è indiscutibile: la crisi della politica italiana continua a essere accompagnata dall’incapacità di dare voce e rappresentanza al mondo femminile, quindi al complesso della società, e direi alla sua parte più vitale.
La percentuale di elette nel nuovo parlamento, interamente “nominato” dalle sempre più ristrette oligarchie maschili dei partiti, è di poco superiore a quella, infima, dell’ultimo parlamento. Si parla del 21,1 per cento alla Camera e del 17,4 al Senato. Solo il Pd sfiora il 30% di elezioni femminili alla Camera, mentre gli altri sono molto, molto più indietro. Berlusconi farà fatica a mettere nel suo governo tre o quattro donne, mentre Zapatero ha formato un esecutivo a maggioranza femminile. Non che questi equilibri, a mio parere, siano di per sé risolutivi della cecità di cui ho parlato, ma almeno dicono che in qualche cervello maschile un campanello ha cominciato a trillare.
Ed è questo il gesto che sarebbe oggi così necessario: attivare un dispositivo di allarme autocritico nel nostro cervello maschile…
Da questo punto di vista la completa assenza di rappresentanza parlamentare da parte della “sinistra arcobaleno” potrebbe persino essere vissuta come un vantaggio per ripensarsi davvero radicalmente e da capo. Un’occasione per aprire finalmente una conversazione e uno scambio senza settarismi e a tutto campo ( del tipo auspicato qui e su Liberazione da Letizia Paolozzi). Ma se prevarrà la forte miopia dei residui “gruppi dirigenti” – come suona ridicolo oggi questo termine! – composti da soli uomini (e uomini sempre più soli) ciò non sarà possibile. E’ necessario un altro sguardo.