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relazioni politiche, dal quartiere al mondo

Sul filo della pazienza

17 Marzo 2008
Dal nuovo numero di Leggendaria
di monica luongo

Prima devi presentarti, dire chi sei e giustificare il lavoro che stai facendo. Poi sopportare qualche inevitabile battuta poco intelligente e infine, se ti riesce iniziare a lavorare. Questo è quello che succede alle donne che si occupano di altre donne, ovvero pari opportunità, politiche di genere, etc. E resto convinta che sia la conseguenza di come le donne vengono raccontate.
La proposizioni di modelli triti, vecchi e soprattutto fasulli non può che partire dalle immagini. Mentre lavoriamo a questo numero di Leggendaria gli eventi politici in Italia si succedono con frenetica tragicità: il governo cade come in una vecchia pochade perché un uomo, il politico Clemente Mastella, si ritiene offeso per un ordine di custodia cautelare che colpisce la moglie Sandra, presidente del Consiglio regionale campano: una donna pomo della discordia, una donna che viene rappresentata mentre stende la sfoglia nella grande cucina di casa. Flash e piani sequenza: al Quirinale i rappresentanti di partito si succedono davanti le telecamere dello studio alla vetrata e sembra che una bomba a selezione sessuale abbia colpito il colle più famoso della capitale. Non c’è ombra di una donna, fatta salva Anna Finocchiaro in velluto viola. La stessa bomba colpiva contemporaneamente i salotti televisivi e le redazioni dei giornali sulle cui pagine qualche sparuta comparsa a stento si notava. E non so quando questa rivista uscirà cosa sarà ancora accaduto in Italia.
Su tutto il resto le donne si vedono eccome. Mi vengono in mente una serie di foto e spot pubblicitari niente male. La nuova pubblicità Mercedes serie E mostra l’auto e una geisha pudicamente inginocchiata in primo piano accanto alla portiera, l’head line dice: full service, servizio completo. Passo agli spot tv: i più popular mi fanno pensare che una donna è sempre afflitta da perdite maleodoranti tutti i giorni e quando non le ha deve mangiare molto yogurt. Penso anche che siamo colpite da grave patologia comportamentale sessuale, che ci porta a leccare tutto, ma proprio tutto: gelati – naturalmente – ma anche cioccolato e oggetti poco saporiti come mobili artigianali. Una seconda bella signora ordina gorgonzola a cena e il cameriere la sogna “topolona”. Su tutto il resto la moda anoressica e nero-occhiuta.
Pure la vita della maggioranza delle donne, ovvero le “normali” che alla mattina si svegliano con caffè e doccia e vanno al lavoro, sparisce nella trama degli eccessi. E sparisce pure dal racconto più dettagliato della vita pubblica e privata dell’Italia. Guglielmo Pepe – responsabile del supplemento salute de La Repubblica¬ – che si stupisce del silenzio delle donne rispetto alla 194; Maria Latella, direttora del settimanale Anna sente il bisogno a inizio anno di ringraziare per la fedeltà i suoi “lettori”. Il mio mito del momento resta la “normale” collega Pina Esposito di Sky Tg24 che ogni sera e con un gran freddo racconta dei presidi anti-ecoballe di Marigliano. Ma allo stesso tempo di donne si parla eccome. Dei loro corpi, soprattutto. Temi: violenza sessuale, violenza domestica, riproduzione assistita e negli ultimi giorni in cui scriviamo, di feti, aborti terapeutici e poteri decisionali in materia di vita e di morte durante e dopo la gravidanza. Non è importante ciò che decide una donna riguardo una diagnosi pre-impianto di un suo ovulo fecondato (non certo per divertimento o perversione, immaginiamo, ma dopo essersi sottoposte a dolorose cure preparatorie ormonali), semplicemente non può farlo; non è importante che la legge 194 dica già che il feto di 23 settimane necessita di cure di rianimazione se il suo cuore batte, bisogna ribadirlo con comunicati di dottori di scienza che con un tempismo eccezionale sposano direttamente o indirettamente la proposta di moratoria per l’aborto propugnata da Giuliano Ferrara. E la campagna elettorale appena iniziata. Cosa di meglio che vellicare l’elettorato teo-dem? Risposte, poche: nessuno da’ una spiegazione al fatto che i consultori e i medici abortisti diminuiscono sempre più, che negli ospedali le interruzioni di gravidanza vengono fatte negli ultimi giorni utili perché nelle strutture pubbliche ci sono lunghissime liste di attesa, che decidere di abortire non è come fare una passeggiata. E nessuno scrive mai cosa dovrebbe succedere a quei feti rianimati e tanto difesi quando poi escono dall’incubatrici malformati? Come pensa di occuparsene la mano pietosa che li strappa alle donne crudeli che li vorrebbero morti?
Pure siamo in molte a combattere incessantemente con le nostre parole e le nostre azioni e da tempo lo facciamo. Pochi i luoghi visibili dove abbiamo voce, tanto è vero che dopo la manifestazione del 24 novembre scorso a Roma in molti sulla stampa nazionale si sono meravigliati del “ritorno femminista”. Ne abbiamo parlato anche nel corso dell’ultimo convegno della Società Italiana delle Letterate a Bari, dedicato ai rapporti tra letteratura e giornalismo. Il fatto è che del linguaggio femminista i media hanno mutuato molto, il bla bla quotidiano parla di parità, differenze, corpi, desiderio, frustrazione (un po’ meno di volontà e determinazione, è vero): ma è una falsa rifrazione, perché sono un linguaggio segue il tema che lo partorisce, quando accade il contrario è un problema di vuota rappresentazione, di scimmiottamento, di una pratica en travesti, che al cammino delle donne poco riconosce. Tentativi di relazione molte di noi lo fanno da sempre e penso con nostalgia al privilegio dell’esperienza che ho avuto nel fare con Letizia Paolozzi e Alberto Leiss la pagina quotidiana L’una e l’altro sull’Unità, ma anche alla serenità e allo spazio di libertà a cui si è aggiunta anche Bia Sarasini del sito www.donnealtri.it; le pagine di questa rivista, gli spazi del manifesto e di Liberazione, la pratica più riservata ma non meno incisiva di Via Dogana. Luoghi di felicità collettiva che non sono altrettanto riconosciuti come efficaci presenze e contraltari delle voci più gridate.
In mezzo al guado della confusione generale restano solo gli occhioni celesti di Carla Bruni che corona il sogno di sposare un uomo “con la bomba atomica” (sic), i coniugi della strage di Erba e lo sguardo famelico delle telecamere che scrutano tra le sbarre del tribunale a caccia dello sguardo della pazza, la Rosa autrice del delitto che ha letteralmente coperto di sangue l’opinione pubblica; le donne che urlano contro le ruspe che devono riaprire le discariche, restituendo con quelle urla e con quegli sguardi caravaggeschi una immagine sola e dolente della rappresentazione meridionale della sofferenza.
Berlusconi in conferenza stampa annuncia di volere il 50% di donne in un futuro governo di nuovo eventualmente governato da lui; Romano Prodi aveva strombazzato altrettanto nella campagna elettorale di venti mesi (limitandosi a un più decoroso 50%), salvo poi scusarsi: sorry, signore, non ci siamo proprio riusciti, il potere e la brama anche dell’ultimo strapuntino hanno avuto la meglio.
E’ davvero molto difficile trovare la calma di pazientare.

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