«Virtualmente assenti o sovraesposte: non c’è misura né memoria nel modo in cui stampa, tv e pubblicità raccontano le donne».Un esempio? La nuova pubblicità della Mercedes serie E: c’è «l’auto e una geisha pudicamente inginocchiata in primo piano accanto alla portiera, l’head line dice: full service, servizio completo». Così Monica Luongo su Leggendaria, la rivista diretta da Annamaria Crispino, che proprio con il numero attualmente in libreria festeggia il dodicesimo compleanno. E che prova a dipanare un altro racconto, con «scritti che si parlano tra loro».
Donne, politica, violenza: queste le parole chiave. Perché la crisi politica è crisi della politica; la violenza non è solo quella in famiglia, ma anche quella culturale, un «attacco contro la soggettività, la cultura, il pensiero e le pratiche che le donne, le loro associazioni e i gruppi femministi, hanno espresso negli ultimi d e c e n n i » .
L’analisi è spietata. Si parla di «catastrofe maschile delle forme politiche del Novecento », non si risparmia disprezzo ai leader politici di tutti gli schieramenti e la lista contro l’aborto è sbrigativamente assimilata alla destra berlusconiana.
Ma nel cercare vie di uscita si annaspa. Il punto, secondo Bia Sarasini, è «non porsi in difesa, per quanto piccoli siano i nostri passi e per quanto virulenta sia l’aggressione ». Ma come? Il rischio, evidente, è quello di ripetersi. Di riprodurre un sapere generazionalmente targato, (come direbbe il direttore di questo giornale), che viene metabolizzato e banalizzato nel discorso pubblico.
«Sempre più spesso accade –scrive Assunta Sarlo – che le nostre giustissime parole suonino alle nostre stesse orecchie dette e ridette eppure mai abbastanza definitive per consentirci di passare ad altro, di guardare più in là». È qui lo stallo che pare attraversare il femminismo di sinistra.
;Sollecitato a rispondere colpo su colpo da un dibattito privo di empatia – (altro che buonumore, checché ne dica Il Foglio) – sempre più simile a un regolamento di conti con l’eredità femminile degli anni settanta, quando accetta di misurarsi, fa fatica a uscirne, da quegli anni.
Questo scontro, che all’inizio ha sollevato curiosità sui media, è stato però rapidamente messo da parte, confinato tra le note di colore. Basta vedere i piccoli riquadri pettegoli con cui i grandi quotidiani (Corriere della Sera in testa) seguono la campagna elettorale di Giuliano Ferrara. Il paradosso è che solo le “vecchie” femministe e le giovani con vecchie parole, (e Adriano Sofri), hanno preso sul serio la provocazione restauratrice circa la libertà e la responsabilità delle donne.
Questo articolo è già uscito su “Europa”