Parli di politica, in realtà non riesci a parlare d’altro, e la faccia perplessa dei tuoi interlocutori ti spinge subito a precisare. Non parlo della casta, spiego, non mi riferisco ai politici di mestiere di cui la caduta del governo Prodi e la conseguente fine della legislatura segnano nello stesso tempo il trionfo e il crollo definitivo, parlo della passione. A questo punto gli sguardi si fanno opachi, assenti, soprattutto nelle persone più giovani. Passione? Politica? No grazie, non mi riguarda. Ma sei sicura che ne valga la pena? dice l’amica. Io non ci credo più alla politica, ci ho creduto fin troppo, non è meglio stare altrove?
Il naufragio della politica non è un ragionamento da politologi, lo incontri nella vita quotidiana, ne misuri la profondità nella tua esperienza, nelle tue relazioni. Genera un rifiuto che porterà tanti, soprattutto molte donne, a disertare il voto, nelle drammatiche elezioni di aprile. Per mancanza di senso, di partecipazione, per sfiducia che si possa realmente cambiare qualcosa. La vita è altrove, è il sentimento comune, non nella politica. Il curioso è che questo altrove, per esempio i comitati Dal Molin contro le basi militari a Vicenza, o i comitati contro inquinamento e rifiuti in Campania, quasi sempre guidati da donne, non viene pensato come “politica”, ma come azioni che hanno al centro la propria vita, quindi immediate, urgenti, non delegabili. Allora mi chiedo, quando è che la politica ha smesso di avere al centro la vita delle persone?
Forse quando le “categorie”, i settori di intervento hanno preso il sopravvento sui soggetti politici? Da quando si è cominciato a parlare di “lavoro” invece di operai? Della tragedia della Thyssen mi rimane impresso lo sgomento dei giovani compagni di lavoro delle altrettanti giovani vittime visto nella puntata dell’Infedele di Gad Lerner trasmessa dalla sala del Consiglio Comunale di Torino. Sgomenti di fronte alla tragedia, smarriti nel constatare la propria solitudine, sempre più evidente, man mano che parlavano. Giovani uomini insieme sul lavoro, uniti dalla fatica e dal rischio, ma senza potere, inconsapevoli. Atomizzati come tutti, studenti, precari più o meno intellettuali, ciascuno e ciascuna individui convinti che “insieme” è una parola senza senso, che insieme non c’è nulla da fare. È qui che sprofonda la politica, che vive della passione e del potere dello stare insieme. La politica degli uomini, che alle passioni della vita ha sostituito l’ostinazione del conservare e mantenerne in piedi la cittadella assediata e isolata. E si misura anche, a mio parere, l’inefficacia di strade che non vogliono prendere atto che per cambiare occorre che la politica riconosca di avere un sesso, maschile, e che questo sesso è in crisi, non sa più interpretare il mondo. Può tuttalpiù fare quadro, stringere alleanze tra uomini, inventare a tavolino leader – uomini – «con l’idea di risolvere in una persona il degrado in cui siamo immersi», come con altre abbiamo scritto nel dicembre 2007 in una Lettera alla sinistra, in occasione dell’Assemblea della Sinistra Arcobaleno.
Può fare il tifo, questa politica maschile, con perfetta comunione di sentire a destra come sinistra –, tutte le sinistre – per Obama. Perché Hillary è detestata da tutti, qui in Italia. Non solo da chi non le perdona l’effettivamente imperdonabile appoggio alla guerra in Irak, ma da chi non sopporta che è donna, per di più anziana e con le rughe. Il nuovo è giovane e maschio, che si vuole di più? “Yes, we can,”, lo slogan è già pronto, Walter Veltroni l’ha ripreso per lanciare la campagna elettorale del Partito Democratico. Noi chi? E per che cosa?
Ripensare la politica a partire dalla vita, questa è la scommessa che richiede tutta la passione possibile. Una passione, anzi una rabbia, che ha guidato la manifestazione contro la violenza del 24 novembre. La passione di giovani donne che hanno proclamato: siamo noi le nuove femministe. E partiamo da noi, dall’inaccettabile violenza che viene fatta sul nostro corpo, in quella famiglia troppo santificata dal discorso corrente, nel nostro paese perfino un normale concetto psico-sociologico come “famiglia disfunzionale” suona sovversivo.
La forza è stata notevole, ha scosso equilibri incancreniti. Anche l’innegabile ferita narcisistica subita da noi femministe degli anni ’70, le cui scelte finora erano “la” politica delle donne, può essere salutare. Perchè c’è altro, c’è una potenzialità più ampia di quanto possa far supporre la pratica anche aspra del conflitto immediato tra donne e uomini. Si tratta di pensare in grande, di pensare che le donne sono in grado di guidare, orientare la politica a partire da sé, che noi possiamo assumerne la responsabilità. Un delirio, in un paese dove non ci sono donne leader, a parte Rosy Bindi? Una follia, se si pensa agli attacchi violenti, da destra e non solo, contro l’autonomia delle donne con la proposta della moratoria dell’aborto? Il punto è non porsi in difesa, per quanto piccoli siano i nostri passi e per quanto virulenta sia l’aggressione. La catastrofe maschile delle forme politiche del Novecento è davanti ai nostri occhi. La sfida è costruirne altre, ora e adesso, a partire dalla vita quotidiana. Una passione da risvegliare.
Questo numero di Leggendaria è già stato discusso a Torino, Genova, Roma, Napoli, Pescara. Sarà presentato a Milano il 18 marzo alla Casa della Cultura e il 2 aprile al CicipCiciap.