Rosa / Nero

uomini e donne nella cronaca di tutti i giorni

L’Italia non è un paese per vecchi

27 Febbraio 2008
di Letizia Paolozzi

Marco Pannella e Ciriaco De Mita si sono comportati diversamente rispetto ai veti del Pd. Uno ha accettato; l’altro ha sbattuto la porta. Eppure, come direbbe Camilleri, “mi sono fatta persuasa“ che in comune i due coltivino una grande passione per la politica. E nei giorni in cui si legge che per salire sul palco di Sanremo bisognerà firmare una dichiarazione di “apolicità“, questi antichi dirigenti sono i miei eroi.
Tuttavia, il “caso“ De Mita è stato tradotto – con l’eccezione, mi pare, di questo giornale – nella riottosità di un vecchio che non vuole fare un passo indietro. Va beh, mi rendo conto: la richiesta di una dodicesima legislatura dopo undici alle spalle significa non avere il senso del limite. Io però vorrei sapere quale dovrebbe essere il limite per un politico cresciuto a una scuola dove la lingua che si parla è quella della politique politicienne
.
“Restare senza la politica-politica, per lui, è un po’ come restare senza l’aria per respirare“ ha scritto il direttore di questo giornale.

Ora, per spazio della “politica-politica“ va inteso, mi par di capire, il parlamento che, in effetti, rappresenta un oggetto di desiderio non solo per ragioni di status o “materiali“. Ma perché per qualcuno è l’habitat, il mondo, lo spazio dal quale non immagina di potersi separare. Le donne sono meno colpite da questa malattia. Magari dipende dal fatto che in parlamento sono poche; oppure dall’importanza che per loro, per me, hanno le relazioni. Una volta conclusa l’esperienza parlamentare, tornano con maggiore libertà ai rapporti sociali, affettivi, famigliari.
Comunque, l’oggetto di desiderio (la politica nell’emiciclo) tanto intenso, così totalizzante mi pare riguardi soprattutto gli uomini .
Per questo mi interessa ragionare sul senso che noi, nel contesto attuale, diamo alla politica. Noi che votiamo con una legge elettorale in cui gli elettori non scelgono e le liste sono composte, nominate dall’alto.
De Mita appartiene a un altro tempo. Nel quale non c’era il partito del leader. Nel quale il bizantinismo era sì un modello della politica democristiana e della degenerazione correntizia ma anche un attrezzo che permetteva alla Democrazia cristiana di destreggiarsi per evitare derive autoritarie nonché l’accentramento delle decisioni nelle mani di un solo capo.

Adesso – sarà per via della globalizzazione o delle stock option – va in un altro modo. E una standing ovation ha accompagnato l’annuncio veltroniano della non ricandidatura del dirigente meridionale, identificato con un certo modo di fare politica. A me tuttavia resta la fastidiosa sensazione che, intorno a De Mita, sia stato riprodotto un giudizio più generale, quello di una società che dalla vecchiaia (nonostante la soddisfazione per l’allungamento della vita), non si aspetta nulla. Se non un grande odore di muffa.
Non è colpa del metodo leaderistico. O delle legislature demitiane. Forse non dipende neppure, questo giudizio sulla vecchiaia, dal rancore gentile con il quale i nostri figli/e ci ricordano (affettuosamente, si intende, cioè senza segarci a pezzettini) che loro non avranno la pensione, che non conosceranno un lavoro sicuro, che la vita nei loro confronti si mostra matrigna per cui la generazione Q (Quiet, quieta) conclude: voi grandi siete in debito con noi giovani.

Vero è che questa generazione, pur computerizzata e on-line, si vede condannata dal mercato del lavoro e dal sistema del welfare a una eterna flessibilità nel ruolo di outsider. I segretari dei partiti (di alcuni partiti) provano a rispondere con il classico Largo ai giovani. Cercando di schiodare gli insider inamovibili.
Come che sia, parafrasando il titolo di un disperato romanzo di Cormac McCarthy (in questi giorni è arrivato nelle sale il film tratto dal libro), l’Italia “Non è un paese per vecchi“. Ma non lo è soprattutto perché quell’autorità e quel sapere che veniva trasmesso dagli uomini maturi ai giovani, dai padri ai figli oggi sembra scomparsa. La vecchiaia, nello star system della politica, simbolicamente non possiede più autorità. E simbolicamente i padri, i vecchi hanno poco o niente da dire.

Emilio Colombo ha spiegato che De Mita senza seggio si sente in “esilio“. Dunque a qualcuno sembra di perdere lo status (l’incontro con i giornalisti, la possibilità di una intervista o, più modestamente, di un’agenzia), l’ identità, le abitudini, gli amici, i colleghi.

Sul serio non si da politica quando viene praticata nelle fondazioni, associazioni, comunità di base, gruppi, centri, riviste? Quando le ragazze, le donne del collettivo Clitoristrix, La que sabe, Facciamo Breccia, Maistatezitte organizzano una manifestazione come quella del 24 novembre scorso contro la violenza? Quando si curano i legami sociali, le relazioni “extraparlamentari“?
Infine, e tornando ai principi che si è dato il Pd nella selezione delle candidature, è vero che se De Mita fosse stato una donna, per il regolamento avrebbe ottenuto la sua dodicesima legislatura, così da “riempire” quel terzo, almeno, di presenza femminili previsto nelle liste. Mi piacerebbe tuttavia rovesciare il discorso e augurarmi che, se una donna andrà a occupare lo scranno di De Mita, sarà altrettanto intelligente. Magari più oculata quanto a numero di legislature e capace di consegnare, di insegnare qualcosa alle altre, agli altri, una volta uscita dal parlamento.

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