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relazioni politiche, dal quartiere al mondo

Crisi politica o crisi della politica (maschile)?

30 Gennaio 2008
di Letizia Paolozzi

Crisi politica o crisi della politica?
Un risultato impressionante di questa situazione (come di altre in cui il muro contro muro, gli inviti alla rivoluzione immediata, la convocazione di un popolo in marcia su Roma, la rincorsa a chi le spara più grosse, il cupio dissolvi, i calcoli elettoralistici sono all’ordine del giorno) è che i cosiddetti temi delle donne scompaiono. Prendi la violenza sessuale, l’aborto, oppure l’assenza femminile dalle istituzioni della rappresentanza: in tanto parlare di legge elettorale avete ascoltato qualcuno riprendere il dibattito sul come aumentare la presenza di donne in Parlamento?

Forse l’errore sta nel manico e dipende dalla pratica invalsa nel mondo femminile di considerare l’aborto, per esempio, un tema sul quale solo noi dobbiamo misurarci? Qui, per la verità, c’è stato l’intervento a “8 e mezzo” del cardinale Ruini, costretto da una domanda di Ritanna Armeni a dire che no, l’aborto non è un omicidio. Il punto, secondo me, è questo. Non sappiamo tenere in mano i due capi della catena: la differenza dei sessi e la voglia di eliminare la frammentazione dei partiti. Ma soprattutto la differenza dei sessi e il non-senso della politica.
Di una cosa mi pare di essere certa: nella “poltiglia“ italiana, sullo sfondo di una economia mondiale travagliatissima, puntare tutto e solo a risolvere la questione della legge elettorale (ci si è messa persino la Conferenza episcopale) non mi convince.
Soprattutto in un momento in cui nella sfera politica e in quella pubblica vengono esibiti comportamenti deboli. Senza nessuna autorità.
Penso alla morte degli operai alla Thyssen di Torino, a Marghera, e al ruolo che i sindacati non hanno saputo svolgere nel difendere quei lavoratori anche da se stessi, da quegli orari che “sceglievano“ per ammazzarsi di fatica e avere qualche soldo in più.
Penso ai rifiuti in Campania, ma anche a quella società civile che lì sembra inesistente. Soffocata da egoismi violenti.
Penso alla scena che si è svolta al Senato la sera del voto di sfiducia a Prodi. A quel parlamentare di An che si mangiava una fetta di mortadella distribuendo insulti e turpiloqui, e che è riuscito a accreditarsi come un epigono dei futuristi.
Nessun colpo d’ala o gesto dignitoso all’orizzonte. Sulla legge elettorale i partiti non sono riusciti a mettersi d’accordo. Tra i due schieramenti magari è fisiologico, ma nemmeno tra Pd e sinistre ci sono riusciti e persino nel Pd (dove Rosy Bindi, invece di provare a ricucire, a rattoppare, ha fatto capire che lei, sulla candidatura di Veltroni a premier ci andrebbe cauta) hanno dimostrato di non riuscire a trovare un terreno comune.
Dignitoso sembra soltanto il presidente della Repubblica. Forse ha cercato di esserlo anche il presidente del consiglio, che ha voluto bere sino in fondo il suo amaro calice in Parlamento. Allo stato attuale, comunque, per Napolitano la strada è obbligata. E troppo stretta. Si capisce, perlomeno io capisco, quanto sia difficile in simili momenti per le donne pronunciare una qualche parola sensata. Una parola sensata e diversa.
E’ balzato alle cronache il modello femminile della first lady ceppalonica, Sandra Lonardo Mastella, la cui vicenda ha dato il “via” al precipizio della crisi. Non penso che dovesse essere piazzata agli arresti domiciliari. D’altronde, cade il governo e sono cadute le esigenze di custodia cautelare. E credo anche che esista, non da oggi, un modo goffo, sbagliato del fare giustizia di alcuni (o tanti) magistrati. Però la politica per come viene messa in scena non mi piace e credo non piaccia a molti. A molte. Supporre che la politica tornerebbe a dimostrarsi efficace perché libera dall’attacco dei pm è ridicolo.
Vero che le raccomandazioni del consuocero dei Mastella molto probabilmente non sono un reato, tuttavia sono uno spettacolo che la politica, se non fosse già moribonda, la ammazza. E il fronte ipergarantista riaperto da Giuliano Ferrara non risponde a questo problema.
Dunque, il silenzio di parola femminile ha delle sue motivazioni.
Se scricchiola l’ordine simbolico patriarcale e gli uomini non sanno dove andarsi a pescare uno straccio di autorità, non sarà meglio per noi donne rientrare nell’anonimato delle piccole cose?
L’anonimato tuttavia non esclude la scelta. Giacché non mi convincono le elezioni anticipate come lavacro purificatore della “mucillagine“, se dovessi scegliere, vorrei un anno di lavoro intenso, non solo per una nuova legge elettorale ma per alcune riforme costituzionali indispensabili. Per restituire un po’ di salario a quelli – vedi i recenti dati di Bankitalia – che da molti anni perdono quattrini a favore dei più ricchi. E per dare il tempo ai partiti di trovare un linguaggio, dei valori, anche delle alleanze non solo dettate dalla furia di “vincere“ o dalla fatalità di “perdere“.
Mi verrebbe voglia di dire che questo governo avrebbe più credibilità e consenso se i ministri fossero pochi e magari fossero donne. Ma di fronte all’eccessiva esuberanza delle “coppie di governo” mi viene un altro dubbio… Forse dovrebbero essere donne completamente libere da compromettenti legami con l’altro sesso? O il disastro della democrazia, prodotto dagli uomini, richiede non solo la proposta di governo tecnico, di unità nazionale, di garanzia, di scopo, missionario, di pacificazione, ecc. ma prima di tutto una capacità di rimedio maschile?

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