Non sempre i confronti con il passato sono utili. Uno sta lì, così, a paragonare ieri e oggi: quando i giovani comunque avevano un progetto e gli operai si sentivano responsabili della fabbrica e i dirigenti politici erano autorevoli. Quando le donne, anzi, le femministe d’antan, beh, sfilavano ironiche, trasgressive, fiorate e zoccolanti.
Ma scusate, davate per morto il femminismo (il giornalista Corrado Augias qualche giorno fa su Repubblica) e invece – divina sorpresa – ritorna. Con la manifestazione di sabato che è stata schiettamente femminista. Monosessuata, in egual misura composta di ragazze di oggi e di ieri. Comunque arrabbiata contro “il maschio assassino“.
Appunto per questo, separatista.
Di nuovo? Se non si fossero separate dagli uomini le donne trent’anni fa non avrebbero cambiato il loro rapporto con gli uomini. E con il mondo. Stiamo meglio di trent’anni fa. Anche gli uomini, tranne i più coriacei, lo ammettono.
Le manifestanti sono ricomparse all’improvviso. Slogan antichi e piumini scuri. Del resto era successo per difendere la legge sull’aborto a Milano due anni fa (il 14 gennaio 2006). Dicono: “L’assassino ha le chiavi di casa“. Lui ti dorme accanto nel letto e sì, te lo giura, ti ama da morire.
Dunque, sugli uomini, soprattutto in una manifestazione contro la violenza degli uomini sulle donne, qualche dubbio c’è.
Più di un dubbio. Cominciarono a interrogarsi in proposito, intorno alla sessualità maschile e alla violenza insita in quella sessualità, le separatiste di allora.
Il lavoro continua, non è finito. Ritorna nei luoghi delle donne. Per vostra informazione, senza le librerie, i collettivi dai nomi impossibili, i centri antiviolenza, non ci sarebbe teoria, pratica politica, e capacità di reagire. Di agire.
Voi che frequentate attivamente i partiti, i direttivi, i regionali, i provinciali, le assemblee costituenti, gli staff, i coordinamenti, avete notizia di una discussione simile e se anche lì si parla della differenza dell’essere uomo e dell’essere donna oppure del rapporto con il potere?
Nei luoghi delle donne si osserva che sì, va bene, gli uomini hanno costruito grandi imprese e mirabolanti cattedrali. Ma come la mettiamo con quella passione che hanno di misurarselo tra loro e se una donna gli dice Bello, ciao, fanno subito una strage in famiglia, vicini di casa compresi?
La sessualità maschile è un affare complicato. Un affare molto politico.
Oggi, d’altronde, non vi impressiona che questa sessualità abbia a che fare (e non poco) con gli episodi di bullismo a scuola (a infilarsi un dito in quel posto per YouTube sono quasi tutti adolescenti maschi) e con il bisogno di menar le mani degli ultras fino agli scontri con la polizia (che ha sostituito nell’immaginario il nemico fascista o comunista)?
Sarebbe interesse del ministro all’Istruzione (e non solo di qualche gruppo di insegnanti, generalmente donne) pensarci un po’ sopra. E ci guadagnerebbe in saggezza (magari anche di linguaggio) la ministra allo Sport e alle Politiche giovanili.
Per tornare al punto, la violenza è sicuramente quella degli uomini contro le donne ma, sulla questione della sessualità maschile le manifestazioni non soccorrono più di tanto. Anche se escludendoli, ha ragione Marisa Guarneri, presidente della Casa delle donne maltrattate di Milano, c’è pericolo “di un nuovo recinto simbolico che tiene fuori il male ma anche il bene“.
In effetti, ci sono uomini che, insieme a noi hanno cominciato a ragionare di tutta questa violenza invisibile, interiorizzata. Dalla quale non possono e non possiamo chiamarci fuori. Perché se si scatena nel 90 per cento dei casi tra le mura domestiche, lì il rapporto tra vittima e aggressore non ha nulla di limpido. Donne che accettano, che abbozzano, che tacciono: per amore, perché non possono fuggire, perché sperano che lui cambi? E ci sono uomini che si trasformano all’improvviso: per sfogarsi, per dimostrare che “nonostante le femministe“ lui resta il padrone, perché lei minaccia di lasciarlo?
E’ evidente che questo nodo oscuro non si scioglie solo con la lotta di piazza, rivendicativa, legislativa. Modificare un ordine, l’ordine simbolico, richiede tempo, parole e gesti responsabili.
Infine, qualche osservazione sulla contestazione alle ministre. Così come gli uomini erano stati invitati a stare ai margini del corteo e chi – come me, non era d’accordo – ha accettato questa decisione, le organizzatrici avevano scritto e riscritto che “i ministri che hanno aderito stiano ad ascoltare ciò che le donne chiedono“. A queste donne la fobia dei sindaci e istituzionale nei confronti dei rom, non è piaciuta. Non si tratta di un altro segno di quell’ “antipolitica“ di cui Miriam Mafai accusa la manifestazione, ma, semmai, alle signore e signorine manifestanti il “pacchetto sicurezza“ piace meno che alla giornalista.
E meno che alle ministre che erano a piazza Navona che quel pacchetto hanno votato senza colpo ferire. Ma il punto più serio, al di là delle smanie per il gazebo, a me pare un altro: la lontananza, quando non si tratta di indifferenza esplicita, del ceto politico femminile dalla politica delle donne.
Nel 1994, discutendo della legge sulla violenza sessuale le cose andarono diversamente. Alcune parlamentari (Franca Chiaromonte, Fulvia Bandoli, Giovanna Grignaffini), in rapporto con il movimento delle donne, sostennero la querela di parte. La legge passò segnata da quel rapporto.
Se lontananza c’è, bisognerà che le ministre (prima di rilasciare interviste alla postazione della Sette), si applichino a capire qual è la posta in gioco.
Infine, su Carfagna e Prestigiacomo: io le avrei accolte senza problemi nel corteo. Ma parlare in anticipo con le organizzatrici avrebbe fugato il sospetto che l’unico, vero interesse di sfilare nella manifestazione, fosse il prevedibile effetto mediatico.