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relazioni politiche, dal quartiere al mondo

I Rom e la difficile memoria europea

8 Novembre 2007
di Letizia Paolozzi

Il richiamo alla memoria è terribilmente complicato. Soprattuttto nel “secolo breve“ appena trascorso. A partire dal 1945, le due Europe hanno seguito percorsi divergenti. Verso la modernità, con il suo bene e il suo male, l’una; chiusa in una immobilità gelata l’altra.

Eppure, dopo il Crollo del Muro, ci eravamo convinti che, in un mondo in ebollizione, la memoria europea avrebbe ripreso il suo lavoro. Liberata dopo decenni di imprigionamento, di silenzi, di pagine bianche. Dopo il 1989, non avremmo più rivisto l’Angelo della Storia di Walter Benjamin con il viso rivolto verso il passato.

Ma il fuoco covava sotto la cenere. Sugli archivi della Stasi, l’ex polizia segreta della Germania Est, e sul modo nel quale quell’organizzazione di potere lavorava per entrare nelle “Vite degli altri“, ha detto tutto il bellissimo film di Florian Henckel. Tornano i fantasmi? Spesso sono i partiti politici a richiamarli. Le fratture continuano a correre sotto la crosta del presente.

In Polonia, i progetti di “lustrazia“ coinvolgeranno 700.000 persone. Lambiscono perfino Lech Walesa. La posta in gioco dei gemelli Kaczynski è tutta politica: una epurazione in piena regola. E meno male che i due gemelli hanno ricevuto intanto una prima sconfitta elettorale. Ma non sono soltanto i paesi appartenuti all’antico blocco dell’Est a non riuscire a voltare pagina. In Francia (storici e politici) si dilaniano sul ruolo “positivo“ della colonizzazione. Le ferite del regime di Vichy stentano a rimarginarsi. Ma anche sulla colonizzazione, la guerra d’Algeria e l’immigrazione, non esiste una lettura comune del passato. Commemorazioni, monumenti, dichiarazioni. Una Babele di parole ma è difficile che Sarkozy ottenga, attraverso il Ministero dell’immigrazione e dell’identità nazionale, una risposta alla crisi delle banlieus.
In Spagna José Luis Rodriguez Zapatero vara una legge che ha per oggetto “la riparazione morale“ e il ristabilimento pubblico della memoria politica delle vittime delle persecuzioni politiche religiose, ideologiche durante la dittatura di Francisco Franco. Se il passaggio alla democrazia aveva comportato l’oblio ufficiale del passato a beneficio di una riconciliazione della Spagna democratica, ora sarà una legge dello Stato a riabilitare la memoria delle vittime della guerra civile.
E per venire ai fatti di casa nostra, il film di Spike Lee sulla strage di Sant’Anna di Stazzema è accusato di revisionismo.
Nel frattempo, nell’“altra Europa“ vincitori e vinti continuano a guardarsi con ostilità. I diritti rivendicati dagli uni sono vissuti come ingiustizie dagli altri. Ma ci sono anche popoli senza stato (i Rom), popoli non amati, non accettati. In un editoriale della Stampa (4 novembre 2007) Barbara Spinelli scrive che in Slovacchia, Ungheria, Repubblica ceca, Kosovo, non solo in Romania, xenofobia e razzismo sono rinate dopo la fine del comunismo. Vengono a ovest “gli zingari“ perché a est non li vogliono.

Ma io li voglio? Se fossi interrogata, dovrei perlomeno ammettere che finora ho distolto lo sguardo dagli accampamenti nomadi, dall’esistenza stessa della comunità rom. Mentre in autobus, quando incontro due o tre ragazzine di questa comunità, meccanicamente mi stringo addosso la borsa. E mi auguro che Dio me la mandi buona.
Nei lager nazisti, non solo a Auschwitz, i rom sono morti a migliaia. Il crimine compiuto da Romulus Mailat, romeno di origine rom, non può essere esteso né al suo gruppo, né tantomeno a “un intero popolo“ (Tariceanu, primo ministro romeno). Ma una delle conseguenze imprevedibili e contradditorie del rapporto tra cronaca e storia è che Auschwitz, memoria collettiva dell’Europa, sembra allontanarsi sullo sfondo del “secolo breve“.

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