La strada che da Chennai corre Nagapattinam raramente abbandona il mare. Supera l’incantevole antico tempio, bordato da una danza di elefanti, degli imperatori Pallava, che lambisce la spiaggia di Mamallapuran, e continua fra palme da cocco e palme nane, piccoli boschi di banani e di manghi, larghi appezzamenti coltivati a riso, e chiese cristiane che in questa zona si alternano con una certa frequenza ai mandir, i templi induisti. L’aria è lucida di umidità e i colori sono dolci e intensi come da noi, in campagna, dopo la pioggia. La superficie azzurra che ci accompagna alla nostra sinistra appare mite e domata come in una cartolina. Si fa fatica ricordare i suoi capi d’imputazione: decine di migliaia di morti, molti mai identificati, in quel vicino 26 dicembre del 2004.
Dello tsunami, invece, è impossibile dimenticarsi: ancora ieri, qui a Vailankanni, nel distretto di Nagapattinam, siamo stati informati, dopo il terremoto di Giacarta, di considerarci in stato di allarme e di essere pronti per un’evacuazione. E’ la quarta volta che accade dal 26 dicembre 2004. Eppure stamattina la vita sociale era intensissima. Una sposa si acconciava di gelsomini al tempio, facendo brillare il sari dorato sotto il fuoco benedicente del bramino. Suba, una giovane in attesa del primo figlio invitava tutto il villaggio a un rito propiziatorio nella sua splendida capanna, dalle mura dipinte di blu e dal tetto di foglie di cocco fittamente intrecciate: alla fine del settimo mese di gravidanza da sempre si canta e si mangiano frutti tutti insieme, augurando al bambino la migliore delle nascite.
I miei amici del Pda, People’s Development Association, la ong con cui Prosvil collabora nella zona dello tsunami, mi raccontano che in quegli stessi sentieri di sabbia bianca da dépliant turistico, che dalla capanna di Suba vanno verso il mare, negli ultimi giorni del 2004 accatastavano, insieme ad altri volontari, centinaia di morti sui carretti tirati da buoi.
L’intensa solidarietà che ha percorso il mondo si sente: non c’è luogo in cui non compaia un cartello, di una fondazione, di una ong, di una chiesa, di un giornale che annuncia un impegno o presenta una realizzazione. La ricostruzione di una scuola, un lotto di 100 case in muratura, un centro informatico, o una scuola di taglio e cucito. I donatori sono almeno di due specie, distratti cuori d’oro del momento della commozione, oppure partner reali, volenterosi e piuttosto costanti, come il consorzio di sindacati europei Solidar, sotto il cui coordinamento la Cgil e Progetto Sviluppo sono impegnati. Gli indiani di qui, invece, almeno da questo punto di vista, sono di un tipo solo: gente che ha a cuore il proprio futuro e si domanda che ne sarà delle proprie vite e dei propri ragazzi dopo che, come tutti sperano, lo tsunami comincerà a far parte del passato. Il modello di sviluppo, tradizionalmente basato sulla pesca e sull’agricoltura, sta cambiando: lo tsunami ha reso più salini e meno fertili i campi, i pescatori sono troppi rispetto alle necessità di una zona in cui le forme moderne di trasporto e conservazione del pesce sono ancora difficilmente praticabili. Così si guarda alla tecnica, all’industrializzazione dei servizi: al nuovo aeroporto che sta per nascere a Keraikel, al rifacimento del porto di Ngapattinam.
In questo contesto la Cgil ha deciso di impiegare una parte dei denari raccolti dai lavoratori italiani nella costruzione di una scuola dedicata alla memoria di un suo dirigente assai stimato, Angelo Airoldi. Collocata a P.T. Puran, mura severe e nessuna concessione all’agio, ma buoni laboratori e istruttori competenti, la scuola Angelo Airoldi ha già avviato al lavoro 247 ragazzi e 126 ragazze. Si tratta di mestieri tecnici molto semplici: saldatore, elettricista, meccanico, idraulico, autista, operatore di computer, sarta. In più esistono classi di recupero per studenti già grandi espulsi prima dell’ottava (l’equivalente della nostra terza media) o dalla decima classe dal sistema educativo ufficiale indiano. Oggi la scuola Angelo Airoldi é frequentata da 94 ragazzi e 36 ragazze.