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relazioni politiche, dal quartiere al mondo

A sinistra accogliere e rilanciare la sfida di Rosy

7 Agosto 2007
di Bia Sarasini

La candidatura di Rosy Bindi alla segreteria del Partito Democratico è un fatto nuovo, davvero. Come ha detto lei stessa: «Sono la prima donna che si candida a segretario di un partito». E poi ha aggiunto con semplicità: «Se non ci riesco, avrò aperto la strada alle altre».

Un gesto chiaro e autonomo, inedito, in Italia. Una donna che nello spazio pubblico dichiara un’ambizione, un obiettivo alto. Una donna che senza inibizioni e reticenze ritiene di poter svolgere un compito, -e così fa piazza pulita delle inutili discussioni su politica generale e politica di genere- e per questo mobilita il sostegno di donne e di uomini in una campagna in cui la sua storia politica di cattolica democratica non viene cancellata, anzi, trova un senso più ampio nella serena valorizzazione dell’essere donna. La scelta di Rosy Bindi apra un orizzonte nuovo non solo nel Partito Democratico, ma nella società italiana. Si tratta, né più né meno, di innovazione, di trasformazione. In Italia oggi non mancano le donne capaci, autorevoli, libere. Occorre però qualcosa in più, in coraggio, in audacia, in gusto del rischio. Cioè occorre essere consapevoli che le vicende comuni, le appartenenze a gruppi, associazioni o partiti, l’identità di movimento per chi è/è stata femminista, non possono sostituirsi alla libera scelta individuale. È un passaggio delicato, in special modo per le donne di sinistra.

Un punto cruciale, per chi come me punta a un’unica, forte sinistra (e per questo, da non iscritta a partiti, mi sono coinvolta nel movimento di Sinistra Democratica), convinta che il cambiamento non possa che avere un volto di donna. Un mutamento che fa fatica a prendere campo.Questo mi sembra il senso dell’invito di Letizia Paolozzi a inventare nuovi gesti di libertà, rivolto alle donne a sinistra del Pd. Non si tratta di votare o meno Rosy Bindi alle primarie del Pd, gesto evidentemente fuori luogo per chi ha un’altra collocazione. Né fare un elenco delle critiche e dei consensi, che per quello che mi riguarda vanno dall’incomprensibile, negativo rifiuto di invitare le associazioni gay al forum sulla famiglia al considerare la sua storia di cattolica una garanzia di laicità. Neppure è il caso di stringere Bindi in un abbraccio che per lei potrebbe risultare soffocante. Si tratta invece di riflettere in profondità sulla sua scelta, compreso il fatto che viene da una donna che non è mai stata femminista. Creare una sinistra aperta, plurale, innovativa è, come tutti vediamo, un processo aspro, faticoso. Più il processo appare inevitabile, più crescono le tentazioni di rinserrarsi nelle identità acquisite. Qui mi pare necessario il coraggio femminile. Coraggio di prendere posizione, di esporsi, di indicare una strada. Dire agli uomini, anche quelli benevoli verso le donne, quelli disposti a concedere quote, perfino quel 50&50 che oggi appare a tante, forse quasi tutte, così salvifico, il riscatto definitivo dell’ingiustizia, insomma dire a quegli uomini: non mi concedete nulla, sono io che ho qualcosa da dire e da fare. In altri termini, penso che nessuna quota, che pure giudico indispensabile anche se sono perplessa sul 50&50, possa eliminare la scelta individuale. Nel caso del Partito Democratico colpisce che nessuna tra le dirigenti Ds, a parte Franca Chiaromonte e Annamaria Carloni, abbiano scelto di sostenere Rosy Bindi –mentre sembra diverso, più libero, l’orientamento delle future votanti alle primarie. Ma a sinistra c’è il mito dell’unanimismo, e le donne, chissà perché, se ne fanno carico più degli altri. Con molti vantaggi? Cambiare, cambiare sul serio e con consapevolezza, abbandonare abitudini, schemi. modelli consolidati, è il progetto più impegnativo che si possa immaginare. Nella vita, nella politica.

Accogliere e rilanciare la novità che Rosy Bindi introduce è una sfida. La sfida a non adagiarsi sulla ricchezza di una storia che ha accompagnato l’emancipazione delle donne italiane, che a partire dagli anni settanta ha fatta propria molte delle elaborazioni femministe. Sono vicende, tradizioni, memorie fondamentali che hanno sostenuto lotte, dato vita ad associazioni, a istituzioni preziose. Ma oggi non si tratta di esibire medaglie o tenere in vita un mondo parallelo. Occorre cambiare punto di vista. Non si tratta di rivendicare diritti, posti, riconoscimenti. Non in questi termini. Si tratta di essere in grado di dire: noi, anzi io, ho esperienze, pensieri, proposte utili per tutti, e proporsi, dove si ritiene possibile e sensato farlo. Praticare questo stile ovunque, insieme, eppure rigorosamente in prima persona. Insomma, si può pensare di vedere donne proporsi di guidare l’unificazione, il cambiamento della sinistra? È una sfida troppo difficile?

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