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relazioni politiche, dal quartiere al mondo

Donne e uomini al 50%.
Ma davvero così cambiamo la politica?

12 Giugno 2007
di Letizia Paolozzi

Ma come? Tu stai lì a discutere del 50e50 mentre abbiamo di fronte problemi immensi (cambiamenti climatici, massacri interetnici, rigurgiti da “guerra fredda“) e mentre una ragnatela inviluppa il nostro meraviglioso e dissennato Paese (circolazione di dossier artefatti, spettacolo penoso offerto dai media che pubblicano i succitati dossier con spie e spioni a fornire materiale falso e vero, shakerato con le intercettazioni)! Insomma, beata te che hai il tempo di appassionarti alla discussione sulla rappresentanza femminile nelle cariche elettive. Se le donne sono così poche, bisogna proporre qualche rimedio. Non ti convince una presenza numericamente paritaria? E’ questione di lana caprina: una semplice sfumatura.
Non sono d’accordo. Per me questa “sfumatura“ è essenziale.

Prendo dunque sul serio quel pezzo dell’Udi che ha dato il via alla raccolta di firme (il 2 giugno) per una proposta di legge di iniziativa popolare basata sul principio che l’accesso dei cittadini e delle cittadine alle assemblee elettive debba svolgersi in
condizioni di pari opportunità. Ovunque si presentino liste, queste saranno
composte, pena la loro non ammissibilità, di uomini e donne alternati, con uno scarto
al massimo di uno se il numero non è pari. La proposta prevede modalità di
applicazione del principio paritario sia per le candidature effettuate sulla
base di liste o di gruppi sia per quelle all’interno di collegi uninominali. L’elettore
sceglierà liberamente chi vuole: uomo o donna che sia. Non si tratta di un risultato
predeterminato (come fu nel Calderoli-porcellum), con liste bloccate da votare,
appunto, in blocco.
La raccolta di firme rientra nella campagna per una presenza paritaria ovunque si
decide. In tempi ravvicinati, con l’obiettivo di ottenere la designazione di donne per
le cariche nelle strutture economiche, politiche, giurisdizionali (dal Consiglio
Superiore della Sanità alla Banca d’Italia, al Consiglio Superiore della magistratura,
alla Corte Costituzionale).
Ora, il 50e50 gode di uno stato di grazia. Sulla linea del “pareggiamento“ si è attestato il Forum delle donne di Rifondazione comunista (Bianca Pomeranzi ha scritto su Liberazione che “è indispensabile l’adesione alla campagna 50e50 lanciata dall’Udi e da Usciamo dal silenzio“). Anche per la futura Costituente del PD, si ascoltano prese di posizione femminili che vanno nella medesima direzione. A cominciare dalle ventitrè signore e signorine, parlamentari dell’Ulivo, che avevano chiesto (ma invano) a Romano Prodi di stare “in misura paritaria nella Costituente e in tutti i luoghi nei quali si stabiliscono regole e contenuti, a partire dalla Commissione che sarà chiamata a scrivere lo Statuto del nuovo partito“. Succede, però, che nel sondaggio ISPOS-SWG, tra quanti sostengono la nascita del PD, lo spazio per le donne non sia considerato una priorità. Evidentemente, una contraddizione in seno al popolo.
L’esempio del governo quasi paritario di Sarkozy ha rappresentato la ciliegina sulla torta. Un uomo della destra realizza ciò che il centrosinistra rifiuta? Solo che in Francia c’è un principe-presidente che si distingue per un’enorme concentrazione di potere. Può decidere ciò che vuole, Sarkozy, senza il ricatto dei partiti minori. Può attribuire alle donne dicasteri forti, senza accontentarsi della spruzzatina politicamente corretta di ministeri leggeri e però “rosa“. Né si può dimenticare che, nonostante i discorsi e le promesse paritarie, solo 107 donne su 577 sono state elette all’Asseemblea nazionale francese. La sinistra ha candidato 61 donne, 46 la destra. Il Ps aveva collocato nelle sue liste più del 45 % di donne mentre l’Ump è rimasto molto al di sotto dell’obiettivo annunciato del 30 %. Dunque il partito del presidente ha preferito ancora una volta privarsi dei finanziamenti pubblici piuttosto che mettere delle candidature femminili.

Eppure, in Italia il fifty-fifty viene conquistando menti e cuori. Cerco di capire il perché. Intanto, per via della percentuale spaventosamente bassa di donne presenti nel parlamento italiano: 17, 3% alla Camera e 13,7% al Senato. L’Italia al cinquantanovesimo posto nella graduatoria di180 paesi nella rappresentanza femminile e al quarantesimo per l’eguaglianza tra i sessi, quanto a stipendio, accesso al mercato del lavoro, istruzione, qualità della vita. Uno scandalo che la modifica dell’art. 51 della Costituzione (“Tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini“) non ha eliminato.
A dimostrazione che gli “appositi provvedimenti“ servono a poco in un’ Italia dove le regole lasciano il tempo che trovano e contemporaneamente il grande numero di piccoli partiti attizza le brame del sesso maschile che a gomitate intende riempire le liste elettorali. Tuttavia c’è dell’altro. C’è che alle ambizioni femminili è impossibile rispondere con una numerica simmetria.
Chi sostiene il 50e50 controbatte che sarebbe “questione di principio“. Una questione – penso io – che salva la coscienza dall’umiliazione delle quote rosa (che non hanno mai convinto il mondo femminile). Se i guasti della democrazia dipendono dall’irresponsabilità maschile (la democrazia dovrebbe essere il luogo della responsabilità), un massiccio ingresso femminile con i suoi “saperi, talenti e competenze“ nelle cariche elettive, negli uffici pubblici, sarà capace di cambiare la situazione. Magari di “rovesciare l’Italia come un calzino“, se ricordate questa frase che circolò ai tempi di Tangentopoli.
Io mi fido di voi, care sorelle di sesso, ma per risolvere i guasti della democrazia e per ottenere un rinnovamento del personale politico ovvero della leadership, ci vorrebbe qualche prova in più. Bisognerebbe dimostrare che quel 50 % non vuole entrare nella famosa “casta“ lasciandola immutata. E sempre quel 50 % dovrebbe raccontarci su quali strategie punta, a quali mediazioni e relazioni si affida. A me viene il dubbio che il fifty-fifty metta tranquille le coscienze. Soprattutto femminili. A destra e a sinistra. Quasi che non esistano conflitti giuridici, economici, sociali. E tra uomini e donne. In questo modo, proprio quando si proclama di voler sanare una ferita della democrazia, si ottiene il risultato contrario, producendo un assist all’antipolitica.
L’ipotesi del 50e50 non solo traccia un taglio netto tra uomini e donne che non corrisponde alla realtà, ma finisce per annullare qualsiasi ricerca di pratiche politiche nuove: le idee semplici non sono necessariamente le più efficaci. Io preferisco chi chiede liste elettorali nelle quali nessuno dei due sessi superi il 40/60. Sarebbe una norma transitoria in grado di riflettere il gioco, la sfida, la gara reciproca, senza irrigidire la divisione (o la guerra?) tra i sessi. In conclusione, bisognerà discutere pubblicamente (e senza escludere gli uomini), delle nostre, differenti posizioni. Che non sono questione di lana caprina ma spartiacque tra politica rivendicativa e paritaria e politica della differenza.

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