Cara Letizia, visto che in una delle deliziose cenette da te Daniele (Scalise) e io abbiamo deciso di andare assieme al Gay Pride, ti racconto come è andata. Per darti ragione, prima di tutto. Tu eri ottimista, noi due invece eravamo “donne e uomini di poca fede” tanto storcevamo il naso sulla scelta di concludere la manifestazione a San Giovanni, territorio del Family Day.
Io specialmente, che più invecchio più penso che la politica è come la guerra, un scontro tra nemici, pensavo che se la scelta strategica della piazza non fosse stata all’altezza (numerica) della sfida, avremmo (in senso lato) rifatto quella insopportabilmente brutta figura resistenzial-nostalgica di piazza Navona del 12 giugno. Piazza che avevo accuratamente disertato. Di qui la decisione di esserci per fare massa. Perché nel Gay Pride si giocava qualcosa che mi riguarda, sia pure in maniera contorta.
Già, perché più invecchio, più divento paradossale e irascibile.
Meno male che c’era Daniele, altrimenti gli sbocchi d’ira non li avrei potuti condividere con nessuno vedendo sfilare il camion della CGIL con i palloncini, quello dei giovani comunisti con la comunista femmina che scandiva nel megafono “Avere un orgasmo non è reato” (sic!), quello di Stella Rossa in versione trasg (sta per “trasgressiva”) e via declinando per Noglobalismi, Nomercatismi, Noliberismi … .
Poi, diciamoci la verità, a me dei Dico e delle leggi per le famiglie di fatto non me ne importa un fico secco. O meglio: non sopporto la smania dei diritti che si antepongono alle libertà tanto quanto non sopporto la fobia per i medesimi quando si trincera dietro la famiglia-a-coppia-unica. E se devo dire la mia su quello che ritengo conveniente, oggi, per risolvere una querelle fastidiosa e pericolosa per come è messa l’Italia, sto per la proposta di Alfredo Biondi: modifiche al codice civile, e non se ne parli più.
Inoltre non mi piaceva la parola d’ordine della manifestazione: “dignità, parità, laicità”: se non me le dai non ti voto, ti accuso di “tradita laicità” e voglio essere come tutti gli altri. Questo mercanteggio, anche duro, specialmente dopo il gay pride, tutto interno al governo di centro sinistra, non è cosa per me.
Del Governo Prodi non me ne cale, tanto non l’ho votato e al posto del suddetto trittico manifestardo, alquanto perbenista, avrei messo “felicità, diversità, libertà”. Queste erano del resto le parole-messaggio che lanciava il fenomenale e fenomenologico corteo dei froci, delle lesbiche e delle trans. In cui si mischiavano, imperturbabili, monumenti storici di pregio: il camion dei genitori di figli omosessuali, la camionetta con su Edda Billi – sempre elegantissima – e quattro amiche.
Ho letto la rubrica di Franca Fossati su City (free-press, l’adoro) the day after the pride: “Una piazza stracolma ha inveito contro il Vaticano, ma, questa è la novità, non farà più sconti alla politica. (…) Finito il tempo dei gay pride come provocazione ed esibizione”.
Forse Franca la manifestazione non l’ha vista o era senza occhiali. Io, per la prima volta in Italia, ho visto un pride veramente sfacciato nel settore froci e trans. Come a New York, ad Amsterdam, a Berlino già da molti anni accade. Piselli e tette finte all’’aria, slinguazzamenti a ritmo da discoteca, culi al latex o traforati, capezzoli luccicanti di paillettes.
Grande novità delle trans: i loro cazzettini non li incollano più con lo scotch sotto i tanga, ma li lasciano intravedere, in lieve protuberanza.
No, non era ancora come a Berlino dove scopano pure sui lampioni di Unter den Linden. Ma. Ovunque nel mondo e anche da noi, i maschi omosessuali detengono la palma della bellezza, del culto del corpo, della giovinezza, le trans quella della voracità per la bellezza, della manipolazione del corpo, del senza età sotto il trucco pesante.
Le lesbiche? Sempre defilate e vestite. Daniele, da uno che il pride lo ha inventato, ma che non lo frequentava – come me, del resto – da quello anti Rutelli del 2000, mi ha fatto notare che le donne erano veramente tante. Giovani, giovanissime, vestitissime.
Lo so, non si deve mai parlare male delle sorelle di sesso. Ma. I maschi erano belli, le trans erano la caricatura delle donne belle, le lesbiche erano bruttarelle e incuranti di esserlo. Lo faccio notare a Daniele. Risponde: hai ragione, non me ne ero accorto.
Questo diverso atteggiamento in un contesto di gayezza plurisex va a favore o a sfavore del nostro sesso? La differenza femminile che anche se una è stufa di sentirsela ammannire, ora anche in chiave di nuovo femminismo chiesastico, viene negata, esce fuori lo stesso? Che vuol dire?
Il dibattito alla prossima cenetta.
P.S./1: mi ha telefonato un amico del gay lib (di destra) che ha sfilato con i soliti quattro gatti più Benedetto e Marco Taradash. Era entusiasta per tutto, ma in particolare perché il “movimento” ha deciso: basta con Dico Pico eccetera: matrimonio e figli o niente.
P.S./2: ho girovagato per i blog: grande preoccupazione per tutto quel nudismo esibito. “Non facciamo di tutto per farci odiare”. Ma come? Mi vogliono togliere lo spettacolo pirotecnico del sesso?