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relazioni politiche, dal quartiere al mondo

Alcune riflessioni intorno alla proposta del 50e50

21 Giugno 2007
Questo testo è stato elaborato da un gruppo di donne dell'Udi di Palermo

L’anno appena passato ha mostrato ancora una volta la continuità di un monopolio di genere sulla scena istituzionale.
L’ennesima dimostrazione dell’arroganza degli uomini in posizione di potere, però, ha reso ancor più manifesta la crisi e l’inefficacia di una politica femminile di rivendicazione, una politica ancora lontana dal fare un uso consapevole del patrimonio del femminismo.
Alla cultura politica tradizionale, infatti, è mancato -e ancora manca- un intreccio produttivo con il pensiero e le pratiche delle donne: le politiche delle quote e quelle che sono state definite femminismo di stato, infatti, non hanno costituito, a nostro avviso, che un’assimilazione semplificata e sbrigativa, se non distorta, del femminismo.
Per questo nella campagna 50e50 promossa dall’UDI nazionale, riconosciamo la positiva volontà di superare, anche nel linguaggio, idee e concetti che hanno segnato questa politica: associando alla_democrazia paritaria l’idea di cittadinanza duale, abbandonando la rappresentanza per parlare, invece, di presenza paritaria da affermare in tutti i luoghi.
E tuttavia il primo atto di questa campagna sarà la raccolta di firme per una legge di iniziativa popolare “la risposta minima e allo stesso tempo irrinunciabile per denunciare uno squilibrio e promuovere una parità di donne e uomini… in tutti gli organismi elettivi di governo del paese” -si legge nel documento di presentazione- continuando a porre, di fatto, la questione della “cittadinanza” femminile come un problema che necessiti di una soluzione di tipo tecnico; noi riteniamo, invece, che essa sia una questione squisitamente politica su cui vogliamo proporre alcuni spunti di riflessione.
Esiste oggi un forte protagonismo sociale femminile: sul piano puramente quantitativo, i dati degli ultimi anni ci dicono che la presenza femminile è cresciuta in maniera significativa (in particolare là dove si accede per concorso) in tutti gli ambiti della società, anche in quelli nei quali l’accesso è stato più tardivo (es. in magistratura), solo la politica istituzionale resiste con una bassissima percentuale di donne.
Da questo punto di vista, ci troviamo, di fatto, in presenza di un percorso emancipazionistico rimasto incompiuto e rispetto al quale qualsiasi iniziativa politica che punti ad affermare in tutti i luoghi istituzionali la presenza di donne ne costituisce la fase ultima “di completamento”.
Nella società, tuttavia, al dato quantitativo si è accompagnata anche una trasformazione qualitativa per una presenza femminile consapevole che, partendo da sé, ha modificato anche i contesti del proprio agire: la scuola e l’università, le professioni, la sanità come vari ambiti del mondo del lavoro. Questa realtà, però, rischia di essere ignorata o addirittura di non essere colta se, nel discorso corrente, la percentuale di presenze femminili in Parlamento continua ad essere l’unica unità di misura del peso delle donne nella società, come se la sfera pubblica fosse riducibile a quella esclusivamente istituzionale.
La grande trasformazione che il femminismo ha prodotto è avvenuta non perché è cambiata la rappresentanza politica (che era ed è rimasta sempre bassa), piuttosto perché è mutata la (auto)rappresentazione di un soggetto che non dipendeva più dall’altro per dirsi ed abitare il mondo, un soggetto capace di assumersi responsabilità verso se stesso, partendo da sé, superando ruoli prefissati e stereotipi condizionanti.
Con la politica delle donne abbiamo posto in primo piano il rapporto tra politica e vita, fatto della pratica l’essenza della nostra politica e, infine, dato valore e significato all’esperienza femminile, a partire da quel cambiamento di noi stesse che ha, nei fatti, modificato il rapporto fra sfera privata e pubblica.
Le conseguenze di questa straordinaria trasformazione che trovano espressione nella diversa modalità femminile di stare, oggi, nella società e nel lavoro, non sono riducibili ai termini della parità.
Sappiamo che il segno e la misura delle istituzioni sono maschili e tranne, forse, poche eccezioni, anche la mediazione nelle istituzioni per le donne è stata ed è maschile; la politica data, inoltre, non ha saputo fino ad ora esprimere, nel rapportarsi alle donne, altri modi che non fossero l’inclusione nella rappresentanza politica.
Oggi che la presenza femminile sulla scena pubblica, anche in posizione di potere, è comunque aumentata -sebbene più in ambito internazionale che nazionale- è necessario, a nostro avviso, che ci interroghiamo maggiormente su cosa questa presenza comporti, cosa abbia cambiato, come possa essere interpretata e quali effetti stia producendo sul piano simbolico.
Il fatto che sempre più donne abitino lo spazio pubblico sta segnando una discontinuità capace di mostrare la differenza? Che sempre più donne si trovino nelle condizioni di decidere della cosa pubblica segna l’inizio di una nuova civilizzazione nell’ordine duale, oppure costituisce l’avvio di un nuovo percorso di cancellazione della differenza femminile non più per esclusione ma per inclusione nel potere maschile?
Non è facile rispondere, certamente sappiamo che la politica delle_donne non coincide con la presenza di donne nella politica data. Se la “quantità” non è certo un dato irrilevante, un agire politico efficace, che sia anche modificativo del mondo, necessita che le donne sappiano abitare la scena della politica istituzionale senza lasciarsi fagocitare e senza adottare parole e comportamenti che imitino parole e comportamenti maschili, siano in grado di rimanere fedeli a se stesse e inventare pratiche capaci di far contare l’autorità femminile.
Siamo convinte che oggi la politica istituzionale rappresenti sempre meno il senso autentico dell’agire politico, piegata com’è alla logica assoluta della strumentalità e del governo (e le recenti vicende nazionali ne costituiscono l’ultima, visibilissima conferma). Il significato politico del femminismo risulta allora centrale anche rispetto al senso della politica stessa.
Ci riferiamo al femminismo che ha posto a fondamento dell’agire politico la libertà femminile e sostituito al concetto di potere l’idea e la pratica dell’agire di concerto. In uno spazio pubblico oggi fortemente in crisi, pensiamo che il sapere politico delle donne guadagnato nella pratica sia una risorsa preziosa da mettere in gioco, anche aprendosi ai rischi che lo scambio impone, sia nella relazione con le donne sia in quella con gli uomini.
E’ in questa direzione, infatti, che vediamo il senso del “parlare anche agli uomini senza mascherare il conflitto” di cui parla il documento 50e50. Siamo convinte, infatti, che la modificazione dello spazio pubblico non è un’operazione che si possa compiere senza uno scambio anche tra donne e uomini.
Instaurare relazioni di scambio politico, in una pratica di relazione significatrice di differenza, con uomini aperti al cambiamento prodotto dalle donne in ogni campo può rappresentare un’occasione importante di modificazione dell’agire politico.
In particolare, la questione dei rapporti degli uomini con la politica data ci appare altrettanto cruciale dell’assenza delle donne da questa stessa politica, dal momento che maschili sono i codici simbolici, le pratiche e le regole con cui gli uomini hanno costruito lo spazio pubblico. Il 50e50 non basterebbe, se si realizzasse a prezzo di adattamenti femminili ad una politica immutata. Ed è in questa direzione, inoltre, che siamo interessate e lavoriamo alla ricerca di forme di relazione politica anche con donne che operano nella politica istituzionale.
Non crediamo, infatti, che i luoghi tradizionali della politica siano di per sé negati alla politica delle donne, né che il protagonismo delle donne che oggi desiderano essere nella politica istituzionale si possa ridurre solo a pratica del potere o delle quote. Proprio la politica delle donne ci ha insegnato, infatti, che la qualità ed il senso dell’agire politico non dipendono dai luoghi ma dalle pratiche.
Molte donne in questi ultimi anni si sono impegnate nell’esperienza dell’amministrare; queste esperienze, tuttavia, necessitano ancora di un’opera di simbolizzazione su cosa possa essere una polis a misura femminile.
Pensiamo che sia utile scambiare pratiche e pensiero con queste donne sia per provare ad aprire varchi e discontinuità, così che il simbolico maschile non consumi e non renda invisibile ed inerte la differenza, sia per costruire mediazione femminile e mostrare come la politica delle donne possa tradursi in azioni concrete e rispondere alle questioni contingenti del vivere. Per questo vogliamo continuare ad essere disponibili ad un confronto, a partire dalla nostra politica, una politica che si basa prioritariamente sull’esercizio della libertà, che riconosce autorità, che è capace di dare senso ed ordine senza creare gerarchie o statiche strutture di appartenenza e che si fonda sull’agire in contesto e sulla relazione. Per questo non raccoglieremo firme, pur non contrapponendoci alla campagna 50e50, mentre continueremo a cercare occasioni di dialogo e di relazione con quelle donne che in prima persona perseguono il desiderio di essere nelle istituzioni e con quegli uomini impegnati in una rifondazione a partire da sé.

Emi Monteneri, Mariella Patinati, Francesca Traina,Maria Concetta Sala, Anna Maria Ciancimino, Gisella Modica, Agata Schiera, Marina Leopizzi, Natalia Milan, Roberta Di Bella
della Biblioteca delle Donne – Udi – Palermo

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