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relazioni politiche, dal quartiere al mondo

Lo sviluppo sostenibile del centro-sinistra europeo

3 Maggio 2007
Questo articolo è uscito sul "manifesto" del 27 aprile 2007
di Piero Di Siena

Il risultato del primo turno delle elezioni presidenziali in Francia pone con tutta evidenza il problema che, nonostante la legge elettorale maggioritaria e le tradizioni del bipolarismo della V Repubblica, se la sinistra vuole continuare, o tornare, a governare deve porsi l’obiettivo di costruire le condizioni per una coalizione di centrosinistra. E’ mia opinione da tempo che questo è un problema europeo e che la costruzione di un centrosinistra europeo sarebbe la premessa necessaria per dare stabilità al processo di costruzione dell’Europa politica, sottraendola alle incertezze del più recente periodo.
Tutti i dati della situazione politica che possono essere riferiti ai diversi paesi del Vecchio Continente dovrebbero indurci a andare in questa direzione. Lo dice innanzitutto l’esperienza italiana dell’Unione. Ce lo dice a suo modo persino la grande coalizione tra Spd e Cdu in Germania.
Ma tutti questi dati, che suonano conferma del fatto che è maturo nei principali paesi del Vecchio Continente il problema della costruzione di un’alleanza strategica di centrosinistra, costituiscono anche altrettanti esempi di come questo stesso problema – per il fatto medesimo di non essere mai stato esplicitamente tematizzato come tale da parte delle diverse forze della sinistra europea – trovi soluzioni che il più delle volte mettono in discussione ruolo e funzione autonomi della sinistra o fanno leva sulla sua divisione. Infatti, in alcune organizzazioni del socialismo europeo l’esigenza di un rapporto con il centro rischia di trasformarsi nel fatto che la sinistra stessa diventi una forza di centro.
Tutto ciò è forse anche l’esito del carattere bipolare dei principali sistemi politici europei e contemporaneamente della loro crisi, della difficoltà dei diversi soggetti politici a conciliare alternanza e logica delle coalizioni. Il caso estremo di una tale tendenza è quello italiano, costituito dalla decisione dei Ds di concorrere con la Margherita alla costruzione del Pd. Ma sia l’esperienza del New labour di Tony Blair che il Nuovo centro di Schroeder ne sono state a cavallo del passaggio di secolo sostanziali anticipazioni. Sebbene nell’esperienza tedesca e inglese non si sia mai arrivati a mettere in discussione l’autonomia politico-organizzativa del socialismo come invece è accaduto in Italia.
Nel quadro di una siffatta impostazione politica è naturale che le stesse forze di matrice socialista che trovino ineluttabile un proprio approdo sulla sponda del moderatismo cedano a tentazioni di tipo neocentrista. Così è anche in Italia, all’indomani del varo del Pd. E il presidente del Senato ha avuto il merito di dire con chiarezza quello che in molti, anche nei Ds, pensano, cioè che per il nuovo partito invece di una coalizione di governo con tutta la sinistra sarebbe preferibile in alternativa un’alleanza al centro. I fatti, tuttavia, dimostrano che questa scelta lungi dal garantire la costruzione di una stabile sinistra di governo ne decreta invece la fine. In Italia, infatti, allo stato mancano i numeri perché un’impostazione neocentrista possa durevolmente affermarsi.
A meno che non la s’intenda perseguire attraverso un alleanza con Forza Italia oppure, come pensano i referendari, attraverso una legge elettorale ipermaggioritaria che imponga il bipartitismo per decreto e che, come dice Mussi, risulta ben peggiore della legge Acerbo, quella che negli anni Venti aprì la strada al fascismo.
In Francia pesa come piombo nelle ali alla corsa di Segolène Royal verso la presidenza quel 15% circa di elettori di sinistra che le hanno preferito altri candidati e che con ogni probabilità stenteranno a votarla anche nel ballottaggio. E essi sono destinati a crescere se si accentua nella sua impostazione l’obiettivo di cercare l’intesa con Bayrou. La grande coalizione in Germania soffre del fatto che essa nasce da una divisione a sinistra, per volontà sia della socialdemocrazia che della Linke, che già oggi avrebbero i numeri per governare insieme. Cosa che invece da una parte e dall’altra escludono nettamente sia per l’oggi che per il domani.
Le responsabilità di questa situazione vanno cercate non solo nella deriva moderata di alcune forze di ispirazione socialista ma anche nel fatto che quella parte della sinistra, interna e esterna ai partiti del socialismo europeo, che ha a cuore la propria autonomia politica e ideale stenta a elaborare una sua strategia nella costruzione di una moderna sinistra di governo e una propria concezione di che cosa dovrebbe essere un centrosinistra europeo. Su questo terreno si potrebbe aprire nel socialismo europeo una lotta per l’egemonia e la stessa sinistra cosiddetta radicale non dovrebbe sottrarsi a questa sfida.
E’ necessario, perciò, che la sinistra superi le sue antiche e nuove divisioni e si sottragga alle tentazioni facili dell’estremismo e del movimentismo, che si presenti unita alla prospettiva di un’alleanza con i centristi vecchi e nuovi. Ma serve che il tema di un centrosinistra europeo venga posto a tutto tondo al di fuori delle alchimie della politica e delle logiche di schieramento. E’ necessario, cioè, che esso si fondi su quel compromesso tra capitale e lavoro che dovrebbe costituire la base sociale, il «blocco storico» per dirla con Gramsci ispirato a un modello di sviluppo economicamente e ecologicamente sostenibile, capace di rinnovare i caratteri della «civilizzazione» europea di fronte agli inquietanti scenari aperti dalla globalizzazione, dai fondamentalismi e dal pericolo incombente della guerra infinita.
Va da sé che un compromesso tra capitale e lavoro è possibile solo se quest’ultimo ha una sua autonoma, unitaria, forte rappresentanza sociale e politica. Altrimenti non di compromesso si tratterebbe, ma di asservimento del lavoro al capitale, rischio incombente per il perdurare delle tendenze neoliberiste negli assetti economici e in tanta parte dello spirito pubblico. E a ben vedere è proprio nella rottura, inevitabile, del vecchio rapporto tra lavoro e sua rappresentanza sociale e politica e dalla difficoltà a trovarne uno nuovo che nasce la difficoltà per la sinistra di impostare a livello europeo una strategia di centrosinistra e di sfuggire a un duplice pericolo di involuzione e declino, quello rappresentato dalla deriva neocentrista ma anche quello caratterizzato dal rifugio in un radicalismo sterile e senza prospettive.

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