Rosa / Nero

uomini e donne nella cronaca di tutti i giorni

Non basta essere capitane coraggiose

5 Aprile 2007
Questa rubrica è uscita su Europa il 4 aprile 2007
di Franca Fossati

Le americane, le femministe americane intendo e le donne del partito democratico, ci riprovano. Vogliono che sia scritto nella Costituzione che nessuno può essere discriminato in base al sesso. La battaglia per l’Equal Rights Amendment (“ERA”) fu per decenni la bandiera del Now (National Organisation for women) fondata da Betty Friedan.
Nel 1972 l’emendamento fu approvato dal Congresso ma ratificato solo da 35 Stati dell’Unione. Ce ne sarebbero voluti 38 per cambiare la Costituzione. Oggi, con il nuovo Congresso a maggioranza democratica, può tornare di attualità .
Ma negli stati più conservatori, come ci ricorda Alessandra Farkas sul Corriere della sera (29 marzo), ci si prepara a resistere perché l’emendamento metterebbe a repentaglio “i valori famigliari” e spianerebbe la strada “all’aborto, ai matrimoni gay e agli asili obbligatori”.
Come dire che tutto il mondo è paese.
Di parità, anzi di “democrazia paritaria”, si parlerà anche a Milano, proprio stasera (mercoledì 4) alla Camera del Lavoro (www.usciamodalsilenzio.org) in un’assemblea promossa dal movimento nato l’anno scorso in difesa della legge sull’aborto. Non si accontentano delle “quote” queste donne milanesi, ma si chiedono: se “le donne sono il 52 per cento della popolazione, com’è che diventano il 16 per cento in Parlamento?”.
Annosa domanda, con molte risposte. A cui se ne accompagna un’altra: “com’è che questo tema non diventa il CENTRO di una discussione sulla riforma” elettorale? “50 e 50 ovunque si decide”, questa la proposta dell’Udi che dal 22 febbraio raccoglie le firme per una legge di iniziativa popolare.
Ma la parità non è mai piaciuta alle “storiche” femministe milanesi della Libreria delle donne che sull’ultimo numero della loro rivista, Via Dogana, scrivono “questo femminismo non ci piace”, non ci basta. Proprio a Milano di donne al potere ce ne sono parecchie, a partire dalla sindaca Moratti. Ma nessuno se ne è accorto. Non hanno saputo inventare un modo femminile di esserci, non fanno gruppo, non si aiutano l’una con l’altra.
Anche se, ammettono Lia Cigarini e Luisa Muraro, se ce l’hanno fatta, se uno svantaggio (l’essere donna) è diventato un vantaggio nella competizione politica, “è merito del femminismo diffuso” (Corriere della sera, 29 marzo).
Di donne che già sono nei luoghi dove si decide o che aspirano ad esserci, scrivono anche Bia Sarasini e Silvia Neonato sull’ultimo Leggendaria, dedicato alla Liguria e alle sue “capitane coraggiose”. Donne di piccolo e grande potere locale che però “necessitano di un codice”. Ma anche chi vuole descriverle, dicono le autrici dell’inchiesta, manca di un alfabeto.
Parità, uguaglianza, differenza: sono trent’anni che il femminismo italiano si interroga su queste parole, talvolta anche in modo brutale, a colpi di sconfessioni reciproche. “La parità –scrive Letizia Paolozzi su www.donnealtri.it– mette tutti e tutte tranquille. Siamo arrivate dove prima erano loro, i maschi…Adesso parliamo il loro linguaggio. E tanto ci basti”. Ma non basta, non ci basta. La soluzione, però, non è certo in quel femminismo, aggiunge Paolozzi, “che inchioda il corpo femminile alla sua capacità di riprodursi”. Infatti “generare saggezza è importante quanto, se non di più che generare corpi”, come ha insegnato la sacerdotessa Diotima del Simposio di Platone. Ce lo ha ricordato Eva Cantarella sul Corriere del 22 marzo.

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