Perché gli inglesi autorizzano la ricerca sugli embrioni-chimera? Perché vogliono mantenere la leadership ai loro laboratori (Michele Aramini, Avvenire, 8 settembre)? Perché “vince una certa visione anglosassone della ricerca come opera magna che nulla può arrestare”. E perché sono in gioco “interessi più forti di quelli scientifici”, cioè brevetti e lauti guadagni (il biologo Angelo Vescovi su Il Foglio 6 settembre)? Una decisione che suscita “perplessità viscerali” (Paola Binetti, Repubblica, 6 settembre). Oppure c’è qualche nobiltà nella scelta inglese?
Non ne dubita Stephen Minger, lo scienziato che dovrebbe creare per primo gli ibridi (Agenda Coscioni, settembre). Lo crede Elena Cattaneo, dell’Università di Milano: servirà a “capire come una cellula può essere riprogrammata e superare i problemi del commercio degli ovuli umani e della loro scarsità” (Il Manifesto, 7 settembre). Lo conferma il genetista Giuseppe Novelli: dai “modelli sperimentali” che ne deriveranno potremo capire e curare malattie terribili come il Parkinson o l’Alzheimer (Il Mattino, 7 settembre). I risultati non sono certi? E’ vero, dice Novelli, “sappiamo poco su queste malattie neurodegenerative”. Ma la scienza che cosa è se non “sperimentazione”? E poi questa tecnica consentirebbe di “arrivare alle staminali senza alcun rischio di clonare a fini riproduttivi” (Umberto Veronesi, Corriere della sera, 10 settembre).
Il cuore dello scontro però non è la certezza del risultato (quale ricerca ce l’ha?), né gli interessi economici, bensì la liceità della ricerca sugli embrioni. Un dibattito che, almeno in Italia, finisce appena comincia, secondo un copione già dato. “E’ stupefacente”, dice Cinzia Caporale vicepresidente del Comitato nazionale per la bioetica, “che invece di inchinarsi davanti al governo inglese che ha aperto un grande dibattito coinvolgendo tutta l’opinione pubblica, scientifica, politica e religiosa” qui ci si ritragga spaventati. Si temono “sperimentazioni pericolose che potrebbero essere comunque condotte in metà del mondo senza il minimo controllo” (Il Manifesto, 7 settembre).
Claudia Mancina riconosce che si può essere contrari a ogni ricerca sugli embrioni, ma invita a rispettare la scienza, “che ha i suoi limiti e i suoi rischi come qualunque altra attività umana”, ma che ha anche “un grande pregio etico: una organizzazione interna caratterizzata dal controllo reciproco e dalla trasparenza dei metodi e delle finalità”. (Il Riformista, 7 settembre)