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Moratoria: intervento di Marina Terragni

1 Febbraio 2008
di Marina Terragni

Seguo gli sviluppi della sua dieta liquida e ho molto apprezzato il suo parlare d’aborto partendo da sé. Cioè non dalla morale, non dalla legge, ma da un “suo” aborto. Per un uomo parlare di queste cose è molto. La cosa che le è capitata è successa in un tempo in cui, di fronte a un concepimento, cominciava ad affermarsi come un’etichetta il fatto di chiedersi: “lo teniamo o no?”. Capitava anche prima, beninteso. Ma da quel momento in poi ha cominciato a essere un protocollo da seguire, un fatto di massa, tanto che ci sono oggi ragazze che sentono il bisogno di contro-affermare: “se rimanessi incinta lo terrei”.
Sulle cose che lei dice e che io mi accingo a dire pesa il fatto che né lei né io siamo più in un’età per avere dei figli con ragionevolezza, anche se volendo si potrebbe. Di queste cose dovrebbero parlare gli uomini e le donne in età feconda, soprattutto le donne. Ma non ne parlano. Il giorno di Natale ho avuto a che fare con una “giovane” coppia, lei 34, lui 38, sposati da un po’ ma bambini niente. E lì a cercare le ragioni: forse lei non è molto materna, ma che strano, non è neanche una in carriera…
Sembra che oggi per fare un bambino le condizioni debbano essere piuccheperfette, niente di meno che una cameretta perfettamente attrezzata e con bagno, un cospicuo double income, una schiera di nonni e zii e tutti i possibili sostegni a disposizione. Ma a me pare che anche questo sia un alibi. Mi pare che ci sia qualcosa di ben più forte che si oppone a quel “sì” da parte di una donna. Una specie di contro-istinto, come capita ai molto vecchi che arrivati a un certo punto della loro vecchiezza smettono di mangiare con la stessa caparbia avidità con cui all’altro capo della loro vita si erano attaccati al seno della madre, un cucchiaio di minestra che rimane in bocca e non ne fanno scendere nemmeno una goccia. Che cosa sia questo contro-istinto io non lo so. So solo che a un certo punto, e per mia fortuna, in me l’altro istinto è stato più forte, ed ecco il mio ragazzo che chatta nella sua camera e fa disordine nella mia vita.
Fatto sta che tanti muoiono e pochissimi nascono, verità statistica che alla nostra età comincia a voler dire andare in visita in ospedale solo per le agonie e andare a un mucchio di funerali, e non ricordo nemmeno più quando è stata l’ultima volta che ho tenuto in braccio un neonato, stupendomi di quanto è piccolo e résilient allo stesso tempo, vero lottatore per la vita, e inebriandomi del suo odore acidino. Tanto che mi sono ridotta a rompere le scatole a mio figlio che non si è nemmeno ancora maturato, dicendogli che tutto sommato 20 anni, 22, 25 mi sembrano l’età perfetta per diventare padri.
Qui l’odore dominante è un certo costante lezzo di morte che ci svuota, rallenta le nostre vite, accelera il re-uptake della serotonina, ci costringe a introdurre quantità eccessive di carboidrati e si manifesta come depressione. Nasce ben poco, tutto è spostato nell’altra direzione, e i nostri Natali sono ben striminziti, tolto quel paio di vecchietti per cui non smettere di lessare il cappone.
Tutto questo l’abbiamo fatto capitare anche noi, lei e io, dicevo, ci siamo fatti strumenti zelanti di un disegno che a me oggi appare imperscrutabile, e non posso dire di avere grandi speranze che le cose cambino il loro senso di marcia. Quelle tre o quattro ragazze altoborghesi che si sono messe a fare figli come gattine e di cui si parla negli articoli di costume non mi sembrano un gran segnale di controtendenza. La tendenza resta quella che dicevo sopra: “lo tengo?”, e prima ancora: “quando sarà il momento (ovvero a 35, 38, 42 anni) semmai mi farò dare una mano”.
Se scrivo e parlo è più che altro perché l’ignavia continua a sembrarmi un peccato tra i più gravi, e perché ho paura che i ragazzi si costruiscano vite troppo amare. Devo comunque dire che quello che scrivo lo misuro con il bilancino, perché io a differenza di lei continuo a votare a sinistra, e a sinistra, per ragioni a me ignote, questa logica, quella del farsi dare una mano, delle provette, del “diritto” ad avere figli che fa il paio e segue a ruota il diritto a non averne, il diritto ad abortire eccetera, continua a essere prevalente. Tant’è che come lei sa due nostre comuni amiche hanno pagato assai caro il fatto di chiamarsi fuori da tutto questo, in nome di una maternità selvaggia, nel sangue e nel latte.
Detto questo posso tornare all’aborto, argomento che mi provoca, come a tutte, una torsione interiore. Resa più disponibile a parlarne dal fatto che lei ci ha parlato del “suo” aborto, e ci ha parlato non di legge, non di punizione, ma di compassione per la creatura che vuole nascere, compassione che trascina con sè quella per la madre. E anche dal fatto che la Chiesa recentemente ha parlato di perdono per le donne che abortiscono, fatto che potrebbe avere conseguenze enormi se distogliamo per un attimo lo sguardo dalla cerchia striminzita delle nostre quattro amiche.
Mi è sembrato in sostanza che lei faccia appello a ogni singola donna, giocandosi personalmente e pregandola di non abortire, e questo mi sembra un ottimo inizio. Mi sembra di capire che lei riconosca come imprescindibile l’accettazione, il sì da parte di una donna che si renda disponibile ad accogliere il figlio nel suo grembo, passaggio che è stato necessario perfino a Dio per far venire al mondo il Figlio. E se la sua preghiera fosse accolta anche solo una volta o due, tutta questa mobilitazione a cui lei ha dato vita, la dieta liquida e via dicendo, avrebbe avuto il suo senso. Ma immagino che lei speri di ottenere di più, molto di più. E allora le dico secondo me in che direzione ci si dovrebbe muovere.
Non si tratta banalmente di una cultura più mummy friendly, di un mondo in cui puoi detrarti la baby sitter dall’F24, pieno di stanze delle palline come all’Ikea (anche se tutto aiuta, beninteso). Si tratta del fatto che voi uomini di buona volontà dovreste dire, sempre a partire da voi, il bisogno che avete di un mondo che sia anche femminile, e non solo maschile assunto in cielo a universale neutro.
Badate bene che un mondo che sia anche femminile, dove la femminilità non sia solo un eccesso, uno scarto dal maschile, un’eccezione alla norma, qualcosa di minaccioso da tenere a bada, può essere molto fastidioso per gli uomini. Si tratta che alle donne sia data la possibilità di sistemare le cose a modo loro, ovvero che possano pensare il mondo a modo loro, lavorare come sanno fare loro, fare politica a modo loro. Questo può dare molto fastidio agli uomini nelle aziende, nei posti della politica, in tutti i luoghi pubblici. Si tratta per gli uomini di buona volontà di non limitarsi a rapportarsi e cooptare nella polis e premiare solo le emancipate e le omologate, quelle che disturbano meno perché fanno tutto quello che fanno gli uomini, nel modo degli uomini, e perfino con maggiore zelo e a minor prezzo.
Si tratta di accettare che il mondo è bisessuato, e non solo di tollerare la differenza e fargli pariopportunisticamente spazio, ma di amarla e onorarla. Ci sono stati uomini che l’hanno saputo fare, e da loro si può imparare. Se una donna potrà sentirsi libera non nonostante, ma proprio per il fatto che è donna, non avrà più ragione di negare fino allo stremo di se stessa e del mondo la sua verità essenziale: e cioè che una donna è una che può diventare madre. Non che lo deve, ma che lo può, e nell’esercitare questo suo potere trova un guadagno di verità e felicità.
Prima dicevo che non spero un granché e invece sono molto speranzosa.

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