Pubblicato sul manifesto il 7 agosto 2018 –
Non ho ancora visto il film ma ho letto diverse recensioni molto positive su La bella e le bestie, uscito da poco in Italia e prodotto l’anno scorso, diretto dalla regista tunisina Kaouther Ben Hania. Racconta la storia, vera, di una ragazza stuprata da poliziotti e sottoposta a un’odissea di altre violenze. Ma non è del film, anche se il suo contenuto non è estraneo al tema, che voglio parlare.
Il personaggio della giovane protagonista è interpretato da Mariam Al Ferjani, attrice e regista che da anni risiede e opera in Italia. Ho letto su Famiglia cristiana e sul Fatto quotidiano che a un certo punto ha aperto la porta di casa e alcuni pubblici ufficiali le hanno ordinato di lasciare il nostro paese: il suo permesso di soggiorno non era più valido, a quanto pare, probabilmente perché i titoli di studio conseguiti in Italia e il suo impegno professionale non sono considerati quelli giusti. Lei ha fatto ricorso perché considera l’Italia il suo paese, il posto dove desidera vivere, studiare, lavorare.
Non so se il caso ci parli soprattutto di regole legali perverse sull’immigrazione nel nostro paese, o se è “soltanto” l’esempio di una loro burocraticamente ottusa applicazione. Ciò che mi ha colpito di più, però, sono le dichiarazioni di Mariam Al Ferjani, che si possono anche ascoltare nel suo italiano fluente in un video sul Fatto quotidiano
“Quando ho finito la scuola, volevo prolungare il mio permesso di soggiorno – spiega l’ attrice tunisina-italiana – ma non me lo hanno fatto perché non avevo studiato in una università. All’epoca lavoravo anche con un regolare contratto e mi sono ritrovata licenziata dal lavoro con la polizia che mi chiedeva di lasciare l’Italia entro 10 giorni. Una situazione assurda”.
L’intervistatore a questo punto le chiede se pensa che il nuovo governo italiano (quello “del cambiamento”) possa peggiorare ulteriormente la situazione. Lei risponde che certo sì, ma che spera di vincere ugualmente il ricorso, e soprattutto aggiunge questa considerazione: “…volendo vedere il lato positivo, posso dire che ora c’è più consapevolezza dei temi dell’immigrazione e dell’integrazione. Questo nuovo governo è un ottimo esercizio per tutti. A mio avviso la volontà degli immigrati di inserirsi non si può mettere in discussione, se si va in un posto è ovvio che si voglia far parte di quella società”.
Ecco, per me, una buona idea: considerare Salvini, Di Maio e tutto il resto come un “ottimo esercizio” per raggiungere una maggiore consapevolezza della realtà in cui siamo immersi, e di che cosa pensare e fare per cambiarla.
Una foto sulla prima pagina della Stampa ci ricordava ieri che sono passati 10 anni dal crollo di Lehman Brothers e dall’avvio di una crisi economica senza precedenti: qualcuno ora organizza gite turistiche a Wall Street per farla conoscere. Ma la cosa sembra un po’ rimossa nelle discussioni sugli esiti politici salviniani (e trumpisti o lepenisti) di questo tempo. Ascoltiamo un’altra donna, Ada Colau (in Italia per sostenere l’integrazione degli immigrati a Riace) intervistata dall’Espresso: “Fra gli errori più importanti della sinistra di sicuro c’è stato il non aver visto come il liberismo sfrenato stesse portando incertezze e paure nella popolazione… sono paure vere e legittime… Vanno guardate negli occhi. Per trovare però delle soluzioni concrete. Che ridiano spazio alla comunità. E non alla paura”.