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Microcritiche / Ma quanti Oscar merita La La Land?

29 Gennaio 2017
di Ghisi Grütter

images-2LA LA LAND – Film di Damien Chazelle. Con Ryan Gosling, Emma Stone, John Legend, Rosemarie DeWitt, Rosemarie De Witt. Musiche di Justin Hurwitz, Fotografia Linus Sandgren, scenografia David Wasco –

La la land è un film decisamente carino. Si è scritto talmente tanto su questo film – e ancora si scriverà – che è difficile dire qualcosa che non sia già stato detto, scritto o letto.
L’ubicazione è a Los Angeles ai tempi d’oggi e grandi billboards sottolineano il paesaggio urbano. Alcune scene, specialmente all’inizio, fanno pensare ai musical anni ’50 o ’60, un po’ come aveva fatto Grease – brillantina del 1978 di Randal Kleiser, che però lo aveva retrodatato. Molto belle sono la geniale scena iniziale di ballo nell’ingorgo lungo la Highway losangeliana, e quella dell’uscita serale delle quattro amiche con i vestiti a palloncino di tanti colori vivacissimi (c’è persino il phon fucsia!). Le locations sono un po’ a Hollywood, dove la protagonista fa la cameriera nel café degli studios, più volte all’Osservatorio Griffith, al lighthouse al mare (S. Monica?) e, sul finale, anche nel villone di Beverly Hills.
Sebastian Wilder e Mia Dolan (Ryan Gosling ed Emma Stone) si sono entrambi trasferiti da poco a Los Angeles in cerca di fortuna e si amano. Squattrinati e un po’ sfigati hanno entrambi un sogno nel cassetto: lui suona il piano, adora il jazz e vorrebbe aprire un locale tutto suo mentre lei, avendo avuto una zia attrice, vorrebbe tanto sfondare nella recitazione o teatrale o cinematografica. Naturalmente quando il successo arriverà, a turno, li vedrà sempre più distanti fisicamente e il loro rapporto andrà in crisi. Cinque anni dopo si rincontreranno ma le loro vite sono ormai irreparabilmente lontane, ma è probabile che il loro amore sia rimasto intatto.
Molte sono le citazioni o gli spunti ripresi da Chazelle. La delicatezza della storia ricorda più Jacques Demy ne Les parapluies de Cherbourg del 1964 che i musical americani, anche nell’uso dei protagonisti attori e non cantanti né ballerini. Infatti, nel film di Demy gli interpreti erano una giovanissima Catherine Deneuve e Nino Castelnuovo. Ryan Goesling ed Emma Stone comunque fanno del loro meglio: poca voce lei poca snodabilità lui. Nei loro balli manca completamente l’eros che legava coppie storiche di danzatori, anche se, visti insieme, sono molto carini.
Alcune scene fanno pensare al film Un americano a Parigi di Vincente Minnelli del 1951 mentre il ballo nel Griffith Park è un esplicito omaggio al suo The Band Wagon del 1953 danzato da Cyd Charisse e Fred Astaire. Meno riuscita, a mio avviso, è la scena all’Osservatorio, riferimento a Gioventù bruciata del 1955 di Nicholas Ray con Natalie Wood e James Dean.
Nonostante tutti i riferimenti ai film musicali – dimenticavo di citare naturalmente l’immancabile West Side Story del 1962 di Robert Wise – il film fa riflettere su una certa solitudine metropolitana, sulla tristezza e sulla banalità della vita, sui successi effimeri, sui sogni e sulle delusioni. Non c’è nessun gran sogno americano ma piccoli sogni soggettivi in un mondo che cambia e che consuma i veri valori. Così afferma Sebastian (una sorta di alter ego dello stesso Chazelle): «Venerano tutto, ma non danno importanza a niente» in una Los Angeles dove nessuno più ama il vero jazz né tantomeno lo rispetta e dove uno storico Jazz club è diventato un locale Samba e tapas.
Ciò che invece non ho riscontrato è l’analogia con New York, New York di Martin Scorsese del 1977 con Liza Minnelli e Robert De Niro. È vero che anche lì una coppia (Francine cantante e Jimmy suonatore di sax) si divide dopo il successo di lei, ma il carattere dei due è assolutamente diverso da Mia e Sebastian. La personalità di Francine è prorompente a confronto di quella un po’ esilina di Mia e tanto Jimmy è narcisista, egocentrico e viziato quanto Sebastian è attento e dolce. Ho letto da qualche parte che Ryan Gosling è stato cresciuto dalla madre, che l’ha ritirato dalla scuola perché preso in giro per il suo deficit dell’attenzione, e dalla sorella maggiore e questa è forse la ragione per cui ha quest’aspetto delicato, quasi un po’ femminile, che ispira tenerezza e piace alle donne.
Molto bella è la sequenza finale del sogno ad occhi aperti di Mia su “come sarebbe potuta essere” la loro storia, presentata in una sorta di sintetico cartone. Bravo il compositore Justin Hurwitz, in particolare, per le due canzoni ricorrenti: “Audition” e “City of Stars”.
Il film è comunque molto piacevole, anche se forse la candidatura a quattordici Oscar mi sembra un pochino esagerata. La la land ha già vinto sette Golden Globe e una Coppa Volpi a Venezia data a Emma Stone.

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