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relazioni politiche, dal quartiere al mondo

Dopo la sconfitta.
Uno spazio di discussione libera

24 Giugno 2008
di Fulvia Bandoli

A causa della mia storia personale e politica io sento tutta intera, nel mio piccolo, la responsabilità di aver portato la sinistra politica italiana in un vicolo cieco. Non so se la stessa responsabilità la sentano le donne e gli uomini che come me hanno fatto parte dei gruppi dirigenti delle varie forze della sinistra negli ultimi venti anni. Di sicuro vedo che questa riflessione non la si vuole aprire né nel Pd, che continua a parlare di mezza vittoria, né all’interno delle più piccole forze della sinistra che sono chiuse a celebrare i loro rispettivi congressi.

Fino a pochi mesi fa molti disquisivano sul fatto che in Italia vi erano ben due sinistre, una riformista e l’altra più antagonista. Naturalmente era un dibattito viziato come tanti altri dal tatticismo e animato da ceti politici maschili che dovevano trovare la loro collocazione.

Di fatto dopo questo voto nessuna sinistra politica è alle viste. Questo per me è un dato enorme.

Condivido infatti l’analisi che viene proposta anche nel documento che prepara l’assemblea del CRS ( Centro per la Riforma dello Stato) : aprile è stato il mese di due sconfitte. Quella del Partito Democratico, autosufficiente partito unico di tutto il centro sinistra che non ha parlato né al centro e neppure a sinistra, quella della piccola sinistra antagonista, che priva di una cultura di governo (che non vuole dire stare sempre al governo) delle contraddizioni e dei mutamenti sociali si è presentata come una sinistra inutile e di testimonianza.
La destra improvvisamente aumenta di tre milioni i suoi voti, mette sul tavolo una lettura del mondo tutta sua, una lettura che usa le contraddizioni grandi dello sviluppo per alimentare la paura, e attraverso quella paura fa passare le sue riposte alla crisi. Parlare di fascismo o di regime non ci aiuta a capire , e non sarà neppure l’ennensimo scontro sul tema della giustizia a darci il respiro che ci manca. Sarà una destra diversa, più variegata nelle politiche che farà, più popolare, che sfrutterà appieno la sua crescita di egemonia. Prima lo capiamo e meglio sarà.
Ma per ora il “grande “ Pd è afono e spaesato, senza profilo e senza democrazia al suo interno e le piccole sinistre affilano i coltelli in vista dei loro congressi, molti dei quali sono pure e semplici rese dei conti tra persone.

Con questo incontro il “gruppo del mercoledì” (formato da femministe e dintorni come dico io) che si riunisce dal dicembre scorso con continuità e che è formato da donne di tutti i partiti della sinistra, ma anche da donne fuori da quei partiti, intende mettere a disposizione delle donne e gli uomini che lo vorranno una sede di libera discussione. Se sei dirigente, se sei stata delegata, se fai parte di un qualche organismo forse hai avuto modo di discutere. Forse.
Altrimenti no. Questo è uno dei primi, direi il primo, spazio libero che va in onda dopo le elezioni.

Spesso risulta difficile per molti uomini, e anche per qualche donna, comprendere cosa vogliano dire una relazione politica e una pratica politica non strumentale e non di potere.
Noi, questo gruppo, siamo un piccolo esempio. Il nostro confronto è continuato prima e dopo il voto, quando eravamo parlamentari e anche quando diverse sono tornate ai loro luoghi originari di lavoro dopo la sconfitta. Non ci è neppure passato per la testa di non incontraci più perché la Sinistra Arcobaleno aveva perso malamente le elezioni. O perché alcune nei rispettivi partiti prendevano posizioni tra mozioni congressuali). Ci teneva insieme una relazione non strumentale, sicuramente non di potere.

Se guardiamo a come si sono comportati i cosiddetti “ leader “ ( tutti uomini)
della sinistra possiamo dire che non solo non si sono neppure telefonati, ma non hanno neppure sentito il bisogno di rendere conto delle loro pratiche inefficaci e fallimentari alle persone che avevano coinvolto in questa impresa. E non è stato diverso per il Pd.
Sono fiorite iniziative personali e risposte solitarie, D’Alema e la sua Fondazione, Bertinotti e la sua Rivista, Veltroni che parla oramai da solo in un Pd dilaniato.
Anche il dialogo Berlusconi – Veltroni prima così mite , e in due giorni diventato così duro e ruvido, è un altro segno delle relazioni spesso isteriche e nevrotiche che dominano la politica italiana, della poca consapevolezza dei rispettivi ruoli di governo e di opposizione, e di un leader, Veltroni, che aveva cercato legittimazione solo da parte del vincitore, per nascondere così, dietro un dialogo un po’ finto, la sconfitta nazionale, quella di Roma, della Sicilia e di molte altre realtà territoriali. Io non sono nel Pd e non spetta a me dirlo, ma come ho ritenuto che Bassolino dopo il disastro campano dovesse dimettersi, ora penso che un gruppo dirigente serio, dopo un esito del genere, almeno dovrebbe riaprire la discussione e interrogarsi su tutto, anche sulla scelta di fare il Pd in quel modo e con quel profilo così indeterminato. Sento che invece alla fiera di Roma il Pd sta confermando che la linea è giusta e che andranno avanti così.

Nulla hanno imparato, in questi decenni, i leader della sinistra e del pd da pratiche politiche diverse che crescevano attorno e vicino a loro, tranne citare ad ogni piè sospinto la soggettività e la libertà femminile come “novità” importanti che prima o poi bisognava “incontrare”. A parte il fatto che non si tratta di novità perché da oltre mezzo secolo il pensiero femminista agisce, l’incontro non è mai avvenuto.
Ma poco o nulla di nuovo abbiamo portato anche noi donne, quelle che nei decenni trascorsi hanno scelto di stare nei partiti o di fare la scelta dell’esperienza nelle istituzioni. Qualche donna in più, più donne, le quote? La norma antidiscriminatoria, il 50 e 50 ? Mi interrogo da sempre sulla efficacia di questo rivendicare numeri.
Oggi mi sentirei di proporre la parola fine a queste pratiche. Forse bisogna tirare una riga su tutto questo.

Se alcune donne vorranno continuare ad impegnarsi nei partiti la prima ed unica cosa da mettere in discussione sono le pratiche politiche dentro quei partiti.
Se ci sono donne che vogliono cambiare la politica devono cambiare prima di tutto il modo di relazionarsi tra loro. Troppo spesso invece delle relazioni abbiamo cercato la rappresentanza, e abbiamo accettato che a sceglierla, anche quando si trattava di noi, fossero gli uomini.

So che il Manifesto Femminista ( proposto nel nostro gruppo da Rosetta Stella e con lei pensato ed elaborato fino alla stesura finale) che abbiamo indirizzato alla Sinistra
è parso ad alcuni e ad alcune troppo ermetico e naif, e che le parole usate sono state considerate un po’ fuori dai canoni abituali.
Eppure se esaminiamo ad uno a uno quei No che abbiamo scritto si possono scoprire cose interessanti e molto attuali: ad esempio, Dire “No a Io da sola o da solo ce la faccio meglio perché non è vero” altro non è che nominare il nodo che hanno davanti il Pd e le varie piccole forze della Sinistra in questo momento. D’Alema, Bertinotti e Veltroni non hanno forse detto, con i loro lunghi discorsi, proprio il contrario? Ribadendo ancora una volta che loro, da soli, possono benissimo continuare ad andare avanti. E ancora “ Dire No a niente vale la pena tanto i giochi sono già tutti fatti altrove” non è forse quel che pensano tante donne e tanti uomini che si tengono oramai ad una distanza siderale dalla politica dei partiti? E infine “Dire No alla rapina della terra e dell’acqua” non risolleva forse lo sguardo sul mondo? Per rileggerne gli squilibri, mettere in discussione organizzazione oramai inutili e dannose come la Fao, considerare l’accesso all’acqua e al cibo una irrinunciabile esigenza di giustizia sociale degli esseri umani a qualsiasi latitudine, respingendo la “ caritatevole filantropia ” che caratterizza le destre, ma purtroppo anche una persona come Tony Blair che proprio questo ha teorizzato qualche giorno fa in una intera pagina di Repubblica.

Dunque ci siamo soltanto prese la libertà di cambiare il linguaggio, ma quel Manifesto, se letto con attenzione, come dice Rosetta Stella, parla di riforme precise, di governo della realtà e delle sue contraddizioni più brucianti.

Voglio infine affrontare una domanda assai seria che circola ancora poco nelle sedi politiche dei partiti della sinistra: si può fare politica anche fuori dal Parlamento?
Io personalmente ( con alcune altre e altri) avevo scelto di non ricandidarmi e di continuare il mio impegno politico in altri modi, proprio perché sono certa che si può fare. Ma sento che per tanti il dramma vero è non essere più dentro quell’emiciclo e l’obiettivo il ritornarvi più presto possibile. A me gli aspetti più inquietanti paiono il fatto che le donne e gli uomini che si dicono di Sinistra non ci abbiano votati e votate, ritenendoci una sinistra inutile e poco credibile. Il fatto che da anni non ci incontravano più nei luoghi di lavoro, di studio, di ricerca. L’esserci scoperti e scoperte senza le parole per interpretare i cambiamenti.

Per me, anche se so bene che per alcune donne che sono qui non è altrettanto importante, rifare una sinistra unitaria, plurale e popolare, non è cosa rinviabile o di poco interesse. Capire, reagire, tornare a studiare e a pensare dentro relazioni nuove tra noi e con i soggetti sociali è l’unica strada che vedo oggi. E non sarà un percorso breve.
Ci hanno criticato anche il “No alla malinconia”…eppure nulla c’è in questo momento di più malinconico che questo parlar da soli di molti uomini. O del tentativo di saltare i tempi della comprensione della sconfitta pensando di rinascere presto, non importa se uguali a prima e senza alcuna speranza di sopravvivere a lungo.

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