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La normalità di essere diversi

8 Settembre 2008
di Letizia Paolozzi

Al festival della Letteratura di Mantova (dove funziona senza sbavature lo scambio tra autori e pubblico che non è mai anonimo, mai intruppato) discuto con Daniele Scalise, autore della “Lettera di un padre omosessuale alla figlia“ 2008, Rizzoli e con Vittorio Lingiardi, che ha scritto (ne ha già parlato su DeA Alberto Leiss) “Citizen gay Famiglie, diritti negati e salute mentale“ 2007, il Saggiatore.
Lo sforzo maggiore (e lo farà anche chi ascolta per porre le sue domande) consiste nel non restare aggrappati alle proprie certezze. Ognuno/a vuole capire cosa è meglio oggi, nel tempo presente, per le relazioni omosessuali, affettive, amorose. Si vuole capire, respingendo l’idea che queste relazioni vengano dopo, siano seconde rispetto a quelle eterosessuali. L’idea è quella di Mary Catherine Bateson: Comporre una vita. Le nostre vite come biografie aperte.

E per queste biografie c’è una urgenza che i due autori rivendicano: il diritto alla cittadinanza piena.

Daniele parte da sé. Un cuore messo a nudo. Ripercorre la vicenda famigliare. Il padre, la madre. Una famiglia nuova, la decisione di nominare alla figlia il suo amore di padre e l’amore per un uomo.
Vittorio porta i risultati di una ricerca scientifica della quale si serve per smontare le obiezioni quanto al matrimonio tra due persone dello stesso sesso. Per chi gay o lesbica ha bisogno di una condizione di pari opportunità, la domanda non è “Vuoi sposarmi” ma “Puoi sposarmi?”
Scalise e Lingiardi sostengono la causa della normalità per chi è stato considerato un “diverso“. Se l’omosessualità “oggi non è ancora normale> è semmai perché non è normata“ (Scalise). Se una volta “i gay erano discriminati per la loro devianza, oggi lo sono perché chiedono di essere normali“ (Lingiardi). Siamo uomini e donne come tutti, dicono gli autori. Essere gay o lesbica è una cosa che semplicemente succede.

L’essere gay è normale (appunto “semplicemente succede“) se rientra nella costruzione nella norma. In caso contrario, quando manca (qui, in Italia, certamente manca e sono contenta che i ministri Brunetta e Rotondi abbiano risollevato il problema) la legittimazione da parte dello Stato della dimensione affettiva degli omosessuali, l’omofobia cresce, il suo spettro si allarga sulla società.
Altra questione sollevata dai due libri: l’istituto matrimoniale. Sulla sua storia si sono scritti centinaia di volumi. Praticato per ragioni dinastiche, quindi per l’eredità. Infine, ha subito un allargamento, una secolarizzazione spettacolo anche se, nel Sessantotto, viene contestato dal vento libertario. Il femminismo lo sconquassa accusandolo di rappresentare il modello dell’ esclusività patriarcale nel quale i rapporti di potere pendono sempre dalla parte maschile. Adesso quel matrimonio nel quale pure erano inscritti amore e desiderio, sesso e passione, è in crisi. La famiglia si appoggia a patti, alleanze, allargamenti impensabili fino a qualche anno fa mentre i conservatori resistono all’idea del matrimonio gay perché pensano, secondo me che finirebbe per terremotare compiutamente quell’istituto.

A me andrebbe anche bene, ma i due autori sono d’accordo su un alleggerimento dell’istituto matrimoniale fino alla sua futura estinzione? Gli interessa occuparsi degli effetti che può avere sull’ordine costituito, dunque sulla normalità?
Torno al punto della cittadinanza piena. La domanda è rivolta allo Stato e, in ultima istanza, alla democrazia. Alle sue istituzioni. La democrazia è in crisi; non solo in questo Paese. Per difficoltà interne (rappresentanza, logica di maggioranze-minoranze ecc.) ma anche perché – detta brutalmente – si tratta di un sistema politico (il migliore, certo, di quelli che vediamo in giro per il mondo) che hanno pensato gli uomini. La democrazia è una costruzione eterosessuale, o meglio, maschile.
E gli uomini non sembrano in grado di dare risposte ai cambiamenti che soprattutto le donne, in questi trenta anni, hanno posto all’ordine del giorno. Cambiamenti anche nel diritto, nelle soluzioni da dare ai temi eticamente sensibili, nei modelli di coppia e famigliari. Soprattutto cambiamenti nell’ordine simbolico. E questo ordine ha bisogno di un linguaggio.
I media (con l’eccezione del Corriere della Sera) di fronte alla morte, nell’incidente aereo di Madrid, di Domenico Riso, del suo compagno Pierrick e del figlio Ethan hanno evitato di parlare di quel rapporto. Mancano ancora le parole per dire una storia d’amore tra due uomini? I due autori, con i loro libri, le stanno cercando.

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