Di Alberto Leiss
Montopoli è un bel paese di origini medievali sul cucuzzolo di una collina in Sabina, quattromila abitanti, 50 chilometri da Roma. Arrivo in automobile tra grandi uliveti e una tavolozza di verdi che cambia a ogni tornante. Invitato a una “festa dell’Unità”: i tavoli del ristorante e lo spazio per il dibattito si allargano in un piazzale che affaccia sulla valle del Tevere. Un bellissimo tramonto scende dietro la sagoma del monte Soratte, solitario drago addormentato.
Organizza la giovane segretaria del circolo Pd Chiara Fiori, e non manca il saluto del giovane sindaco Andrea Fiori, giunta sostenuta anche dai Cinque Stelle. Modera la giovane giornalista (collabora col Corriere di Rieti ) e insegnante, Elisa Santarelli. C’è poco da moderare perché è quasi ora di cena e poi arriverà, preceduta dalla banda che suona “Bella ciao”, la segretaria Elly Schlein.
Siamo cinque, io unico maschio. Ognuno dirà la sua.
Apre Tiziana Catarci, capodipartimento di Ingegneria informatica alla Sapienza. È molto impegnata a promuovere la presenza femminile nelle facoltà STEM (Science, Technology, Engineering, Mathematics). Ma Catarci avverte che le donne già primeggiano in varie facoltà scientifiche. A Biologia sono il 90 per cento. Molte a Matematica. Fronteggiano i maschi al 50% nell’Ingegneria ambientale e medica. Il problema sono Fisica e Informatica e tutto ciò che riguarda digitale e Intelligenza Artificiale. Qui spadroneggiano i maschi bianchi e “visti i disastri combinati dagli uomini, che in genere fanno la guerra” è decisivo favorire la presenza femminile in questi settori cruciali per il futuro. Le donne hanno attenzione alla cura e alla qualità delle vite: cose indispensabili per “risolvere i problemi del mondo”.
Facile pensare: è “essenzialismo”! Ma è giusto rimuovere secoli di storia che giustificano questo senso comune? A me viene chiesto se si può sperare in un cambiamento maschile: metto le mani avanti citando i Putin e i Trump e anche le troppe incertezze, silenzi e ambiguità dei maschi di sinistra. Eppure vedo che aumentano le minoranze di uomini, anche giovani, che desiderano reagire in un altro modo al cambiamento aperto dal femminismo: l’occasione di una propria più vera libertà.
Parlano poi due signore molto brave. Straniere, da anni sono qui e si sono inventate, appunto, realtà collettive basate sulla cura di sé, degli altri/e e del mondo. Sophie Decok racconta dell’”Atelier solidale Ikwa”: attraverso il “fare comune” della tessitura si lavora all’integrazione delle immigrate. Tra i tanti mostruosi difetti dell’”accoglienza” c’è anche – dice Sophie – l’incapacità di vedere la differenza delle donne, che arrivano con bambini, e che spesso subiscono violenze maschili.
Anelia Stefanova parla della “Comunità di energia rinnovabile solidale – Illuminati Sabina ETS” che ha costruito con decine di altre socie e soci (insieme a Alessandra Filabozzi) e che ha già dato vita a un primo “impianto comune” a Montopoli. Non si tratta “solo” di autoprodurre energia pulita, ma anche di aiutare chi ha problemi grazie a un “salvadanaio sociale”.
Chiude Giulia della Rovere, che insegna l’italiano agli stranieri e anima l’associazione “Mente locale”, impegnata sui diritti, a cominciare da quelli riproduttivi (per superare i limiti della “194”) e facendo battaglia contro il governo Meloni che invoca più natalità ma aumenta le tasse sui prodotti indispensabili alle donne e sostiene chi pretende di dire alle donne che cosa fare del corpo e della propria vita inseguendole fin dentro i consultori.
Di pace si è parlato poco, ma se vincessero queste visioni e pratiche solidali non dimenticheremmo la guerra?