IL CASO GOLDMAN – Film di Cédric Kahn. Con Arieh Worthalter, Arthur Harrari, Stéphan Guérin-Tillié, Nicolas Briançon, Aurélien Chaussade, Christian Mazucchini, Jeremy Lewin, Jerzy Radziwilowicz, Chloé Lecerf, Laetitia Masson, Didier Borga, Arthur Verret, Priscilla Lopes, Paul Jeanson, Prescillia Martin Francia 2023. Sceneggiatura di Cédric Kahn con Nathalie Hertzberg, fotografia di Patrick Ghiringhelli.
Il regista Cédric Kahn in questo film ha avuto il coraggio di trattare temi in questi tempi tornati tristemente attuali – se mai si fossero sopiti – quelli del razzismo e dell’antisemitismo.
Siamo in Francia ad Amiens nel novembre del 1975. Il film, tratto da una storia vera, è incentrato sul dibattimento in Corte di Assise di Pierre Goldman (interpretato dal bravissimo attore belga Arieh Worthalter) accusato di quattro rapine a mano armata in una delle quali è accusato anche di duplice omicidio e condannato all’ergastolo in primo grado. Il film è piuttosto teatrale, tutto girato in un unico interno in formato 4:3, senza alcuna musica e ciononostante è un film di due ore che si segue con suspense, tutto di un fiato e non annoia mai.
Pierre Goldman, figlio di due ebrei polacchi – il padre naturalizzato francese era stato un eroe della Resistenza -, è un militante di estrema sinistra, guerrigliero a Cuba e in Venezuela all’indomani della morte di Che Guevara. La maggior parte dei suoi amici sono neri e/o sudamericani. Fin dall’inizio ha confessato tre rapine ma si dichiara completamente estraneo alla quarta (quella del 1969) che implicava il doppio omicidio delle farmaciste. Goldman ha una sua rigorosa filosofia morale e asserisce che non avrebbe mai potuto sparare a due donne inermi che non gli avevano fatto nulla. Intervenendo continuamente nel dibattimento trasforma l’aula di tribunale in un grande palcoscenico, dopo che aveva pubblicato un romanzo autobiografico, scritto in carcere, dal titolo “Memorie oscure di un ebreo polacco nato in Francia”.
A tratti Goldman da accusato diventa accusatore e, rischiando la propria vita, taccia la polizia di corruzione e la giuria di razzismo. E non avrebbe affatto torto se non fosse che quel suo tono arrogante infastidisce tutti, in particolare il procuratore, insopportabile e conservatore. Alla Francia, evidentemente, non era bastato il precedente caso Dreyfus, che vide scendere in campo in sua difesa intellettuali del calibro di Émile Zola.
L’incipit del film (l’unica scena in un luogo diverso dall’aula del Tribunale) è la lettura di una lettera che il condannato invia al suo avvocato Georges Kiejman (interpretato da Arthur Harari) che con un tono fiero fa riferimento al senso della giustizia e al disprezzo dimostrato da tutti nei confronti delle minoranze. Anche il rapporto tra l’avvocato e il suo assistito si fa teso perché sul filo della ricusazione, Goldman vorrebbe essere giudicato solo sui fatti senza tutti i passaggi psicologici, i giudizi, le interpretazioni che coinvolgono la sua famiglia e i suoi amici e afferma in modo assiomatico: «Sono innocente perché sono innocente!». Chissà se si rende pienamente conto che sta rischiando la pena di morte e rendendo incerto l’esito del processo.
Si può dire che la cronaca giudiziaria in Francia è un genere letterario e giornalistico di incredibile longevità, ed è proprio questa tradizione che Goldman rifiuta, non volendo parlare di sé e della propria vita per creare empatia o “impietosire” i giurati.
Con “Il caso Goldman” Cédric Kahn ha aperto la 55° Quinzaine del Festival di Cannes: un court-drama serratissimo con attori fantastici, che restituisce la complessità della figura dell’intellettuale rivoluzionario Pierre Goldman e fotografa le tensioni dell’epoca post coloniale in Francia.