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Microcritiche / La “grande bruttezza” della siccità

5 Ottobre 2022
di Ghisi Grütter

SICCITÀ – Film di Paolo Virzì. Con Silvio Orlando, Valerio Mastrandrea, Monica Bellucci, Elena Lietti, Tommaso Ragno, Claudia Pandolfi, Vinicio Marchioni, Diego Robon, Max Tortora, Emanuela Fanelli, Gabriel Montesi, Sara Serraiocco, Lorenzo Gioielli, Paola Tiziana Crucini, Gianni di Gregorio, Andrea Renzi, Giovanni Franzoni, Italia 2022. Fotografia Luca Bigazzi.

Dopo aver vissuto due anni di pandemia, ogni ipotetica catastrofe collettiva non è più vista come utopica e fantascientifica, ma come un possibile scenario. Quest’estate a Roma non ha piovuto per tre mesi e già si vociferava di razionamento dell’acqua e di divieto di innaffiare le piante dei propri giardini. In “Siccità” Paolo Virzì ipotizza tre anni senza pioggia nella Capitale. Regole, convenzioni, razionamento che noi, vissuti nell’epoca del consumismo, pensavamo appartenessero al passato remoto, riaffiorano nell’emergenza.
Il regista mostra le persone perse e isolate nei propri egoismi e nelle proprie miserie. Non c’è comunicazione né tra le coppie né tra gli esseri umani.
Roma è quasi irriconoscibile (per chi non l’ha vissuta durante gli ultimi anni), desertica, sporca, polverosa, assolata. Il desertificato Tevere lo si attraversa a piedi come fossero delle cave. Ovunque si trovano le blatte che sembrerebbero essere anche portatrici di un virus letale.
Molti sono in cerca di lavoro o si stanno riciclando cimentandosi in nuovi campi come, ad esempio, Alfredo (interpretato da Tommaso Ragno) ex attore di teatro che si reinventa influencer. Valerio (interpretato da Gabriel Montesi) ha appena trovato un posto di guardia del corpo di una famiglia ricca che possiede, alla faccia di tutti, una lussuosa SPA in pieno centro.
Probabilmente gli autori – Virzì ha scritto la sceneggiatura con Francesca Archibugi, Paolo Giordano e Francesco Piccolo – volevano rappresentare un prossimo futuro che potesse far riflettere sul nostro presente. Ma la vera forza del film sta nelle sue indiscutibili suggestioni visive dove i colori saturi accentuano l’emotività mettendo a fuoco una drammatica contemporaneità: le immagini di Corviale e del Tevere prosciugato sono ugualmente coinvolgenti.
Così racconta Virzì in una intervista: «Con il direttore della fotografia Luca Bigazzi ci siamo guardati un po’ di film messicani, per i colori… Abbiamo visto anche alcune sequenze di “Traffic” di Soderbergh, per studiare la color correction. Ci siamo guardati certi documentari del National Geographic e i reportage da Città del Capo negli anni della corsa podistica… Ci ha colpito in particolare la questione sociale: campi da golf irrigati da una parte, il ragazzo arrestato brutalmente, perché lavava la macchina… »
Siccità” è un film corale, molto carico, pieno di personaggi-macchiette più vicini alla caricatura che al realismo. Un film che mostra la compresenza di ricchezza e povertà con uno sguardo un po’ moralista (i ricchi sono cattivi…): un carosello di personaggi di ogni età e classe sociale, dalle persone di successo agli immigrati, agli emarginati, dai ragazzi giovani alle persone anziane. Tutti sembrano alla ricerca di una propria strada o della propria dannazione, senza però riuscire a comporre un quadro narrativo unico nonostante le intersezioni tra i personaggi.
La coralità, come alcuni critici rilevavano, è una forza ma anche un limite: da un lato può essere considerata una sezione a 45 gradi della realtà sociale, dall’altra non tutti i personaggi e le storie possono suscitare lo stesso interesse. Per non parlare del vasto e variegato cast di attori in cui spiccano fra tutti Silvio Orlando e Valerio Mastrandrea.
Molti sono gli spunti divertenti a partire proprio dalla stessa idea della siccità esasperata. La figura di Antonio, il carcerato condannato a 25 anni interpretato da Silvio Orlando è commovente e lui la recita in modo splendido, mentre la figura del Professore veneto esperto, attratto dalla attrice Monica Bellucci, è di grande banalità. Altre coppie alternano la gelosia e il tradimento in modo abbastanza convenzionale, così come i difficili rapporti tra genitori e figli. E poi a Virzì ogni tanto gli scappa la mano ed eccede nel descrivere alcuni episodi ricchi di inutili dettagli (lo yacht a Ostia o la piscina sul terrazzo della Bellucci, il Papa che fa i miracoli…).
Non so perché ma questo film mi ha ricordato qualche vecchio film corale di Woody Allen poco riuscito dove c’è una sommatoria di gag divertenti ma non riesce a costruirsi come opera compiuta. Ad esempio le immagini di Loris (interpretato da Valerio Mastrandrea), il tassista che precedentemente aveva guidato le auto blu dei Capi di governo, che parla con il Presidente suicidatosi o con i genitori immaginari sembra proprio strappata da un film di Allen che ha sempre amato filmare sul filo dell’immaginario, facendo entrare e uscire attori dallo schermo o mostrando la madre nel cielo della sua città.
Con una battuta potrei sintetizzare il film con “La grande bruttezza”, una sorta di controcanto del tanto celebrato film di Sorrentino. Né Virzì né Sorrentino sono romani e lo si percepisce: tutta la romanitudine appare sempre caricata e molto poco spontanea. Lontani entrambi anni luce dall’ironia di Trilussa, ma anche dal sarcasmo e cinismo dei personaggi di Alberto Sordi. Entrambi i registi hanno ben rappresentato sul grande schermo le proprie rispettive realtà sociali e territoriali. Mi verrebbe voglia di dire “moglie e buoi (e film) dei paesi tuoi…..”.

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