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Microcritiche / Dalla Corea una madre da Oscar

21 Agosto 2021
di Ghisi Grütter

MADRE – Film di Bong Joon Ho. Con Won Bin, Kim Hye-ja, Jin Goo, Jeon Mi-seon, Sae-byuk Song, Chun Woo-hee. Corea del Sud 2009.

Il film “Madre”, per qualche stranissima ragione, è uscito solo quest’anno pur essendo stato prodotto nel 2008 e presentato a Venezia nel 2009 nella sezione Best Regard. Metà thriller e metà poliziesco presenta una gran suspense che mantiene per tutto il film, nonostante le due ore e undici minuti. Bong Joon Ho è un regista colto, conosce molto bene la storia del cinema occidentale e “Madre” è stato definito da molti critici un film hitchcockiano. Lo sguardo, l’immagine, il guardare non visto, sono tutti elementi del linguaggio tipici del maestro inglese, ma se ne trovano tracce anche nella storia: l’indissolubilità di un rapporto fusionale figlio madre è diventata un’icona hitchcockiana lanciando il successo di attore di Anthony Perkins con il film “Psyco” nel 1960.
All’uscita del film, ci chiedevamo con la mia compagna di cinema, perché Bong Joon Ho non avesse vinto qualche premio prima di “Parasite”. Eravamo d’accordo nel dire che i film “Madre” è molto meglio, è meno artificioso, meno costruito a tavolino. Ci sono le differenze sociali ma non sono così palesi e le separazioni di classe invece sono sfumate e non così schematiche come in “Parasite”.
Madre” è una storia appassionata di una mamma e di suo figlio Do-joon Yoon che ha un po’ di problemi cognitivi e che viene arrestato perché accusato di omicidio. La madre si batterà con tutta se stessa per provarne l’innocenza. Essendo Do-joon un ragazzo indifeso ancora a 27 anni, la madre gli aveva insegnato a reagire a chi lo avrebbe preso in giro e a picchiare chi lo avesse chiamato “ritardato”.
La Madre lotta strenuamente contro tutto e contro tutti: contro l’avvocato importante che se ne frega del caso e che, per favorire l’amico direttore di clinica psichiatrica, vuole patteggiare la pena, contro il compagno di bravate del figlio – un amico che non sembra essere troppo fidato – che pare avere più successo con le donne e che lei sospetta aver incastrato Do-joon, e contro i detectives che non hanno troppa curiosità a conoscere la verità ma hanno fretta di archiviare velocemente il caso.
Da sola si metterà a indagare per cercare il vero responsabile, percorrendo a piedi lunghissimi itinerari di giorno, di notte, con la pioggia, in tutte le situazioni climatiche. Nonostante il suo stesso figlio la cacci via dal carcere dove lei gli faceva frequenti visite, lei continua a cercare tracce, prove, testimoni, qualcuno in grado di fornire una prova che scagioni il suo Do-joon.
Il doppio legame che tiene insieme madre e figlio, indica una situazione in cui la comunicazione tra due individui, uniti da una relazione emotivamente rilevante, presenta una incongruenza tra il livello verbale (quello che viene detto a parole) e quello non verbale (gesti, atteggiamenti, tono di voce, ecc.), e la situazione è tale per cui il ricevente del messaggio non abbia la possibilità di uscire fuori da questo schema stabilito dal messaggio, o metacomunicando o chiudendosi in se stesso. Come esempio Gregory Bateson – famoso per aver sviluppato la teoria del doppio legame per spiegare la schizofrenia – riporta un sintomatico episodio della madre che dopo un lungo periodo rivede il figlio, ricoverato per disturbi mentali. Il figlio, in un gesto d’affetto, tenta di abbracciare la madre, la quale si irrigidisce; il figlio a questo punto si ritrae, al che la madre gli dice: “Non devi aver paura ad esprimere i tuoi sentimenti” o “Sii spontaneo!”. A livello di comunicazione implicita (il gesto di irrigidimento) la madre esprime rifiuto per il gesto d’affetto del figlio, invece a livello di comunicazione esplicita (la frase detta in seguito), la madre nega di essere la responsabile dell’allontanamento, alludendo al fatto che il figlio si sia ritratto non perché intimorito dall’irrigidimento della madre, ma perché bloccato dai suoi stessi sentimenti; il figlio, colpevolizzato, si trova impossibilitato a rispondere. Rifacendosi ai suoi studi sui livelli di apprendimento, Gregory Bateson nel suo libro Verso un’ecologia della mente ipotizza che nei contesti schizofrenogeni si possano riscontrare delle esposizioni croniche a situazioni familiari di doppio legame, con particolare riguardo alla madre. Tale esposizione comporterebbe nel soggetto l’incapacità di valutare correttamente i legami tra comunicazione esplicita ed implicita adoperati dalle persone normali. Ad esempio, la persona, posta di fronte a semplici domande quali “come stai oggi?”, “cosa stai facendo?”, non riuscirebbe ad accettarle come domande prive di doppi fini non contraddittori. La sindrome schizofrenica diviene così un tentativo di fuga, di non comunicazione in un contesto in cui ogni comunicazione è “pericolosa”.
Nel film ci sono degli splendidi panorami come, ad esempio, un cimitero che ricorda nella dolcezza delle curve un campo di golf – sport molto praticato in Corea – e la madre spesso li percorre a piedi passando dalla aperta campagna a spazi più urbani, una sorta di mean street di un villaggio povero del sud della Corea.
L’attrice Kim Hye-ja, è di una bravura mostruosa, riesce perfettamente a trasformare con la sua mimica un’anonima donna di campagna in un’eroina di una tragedia greca. Meriterebbe da sola l’Oscar. Molto nota in patria come figura materna archetipica in serie televisive popolari come “Country Diaries”, “What Is Love?”, “My Mother’s Sea” e “Roses and Beansprouts”. Nel 2019, ha ottenuto il plauso della critica internazionale per la sua recitazione in “La luce nei tuoi occhi”.

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