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relazioni politiche, dal quartiere al mondo

In una parola / Un duello patriarcale o postmoderno?

9 Luglio 2021
di Alberto Leiss

Pubblicato sul manifesto il 6 luglio 2021 –

Marco Revelli ha osservato sul manifesto che lo scontro tra Grillo e Conte si può spiegare solo ricorrendo “alle profonde patologie dell’Io. Anzi dell’Io patriarcale”. Il comportamento del fondatore dei 5 Stelle sarebbe espressione addirittura di un patriarcato arcaico: “il più selvaggio”, dove il capo dell’orda non sopporta alcuna vita propria della sua tribù. Arcaico anche nel senso del mito originario: Crono che uccide i propri figli mangiandoseli, prima che possano crescere e spodestarlo.
È vero che per capire qualcosa della grande sofferenza politica che vediamo sulla scena istituzionale e mediatica, bisognerebbe ricorrere a strumenti anche psicoanalitici. Deleuze e Guattari indicavano la via complessa di una “schizoanalisi” che afferrasse le dinamiche di senso e di non senso della società capitalistica andando però oltre le dimensioni simboliche familiari proprie della teoria di Freud.
Tuttavia la forza di questo mito, anche moderno, della potenza del padre sopravvive alla evaporazione ormai acclarata della figura che sarebbe all’origine della legge.
Si direbbe che anche questa storia si ripeta – un po’ stancamente sui media – in forma di farsa, e piuttosto grottesca.
Conte accusa Grillo di essere un “padre padrone” ma sembra non accorgersi di interpretare anche lui la parte opaca di un fratello minore, preoccupato soprattutto di stabilire i confini entro i quali possa darsi l’esercizio di un potere politico che prima di tutto non metta in discussione le prerogative del capo – una volta formalizzata l’investitura – da parte del fratello maggiore. La lite, il “duello”, nasce a quanto pare anche, se non soprattutto, dal rifiuto da parte dell’ex “avvocato del popolo” di qualunque forma di “diarchia”.
Nel momento in cui la pochezza della politica produce quasi esclusivamente partiti e movimenti personali si accetta automaticamente questo no! alla “diarchia”.
Eppure la gloriosa Repubblica romana non ha prosperato a lungo retta al vertice con il sistema del doppio consolato, con elezioni (o rielezioni) annuali?
Ma non voglio certo sostituirmi ai “sette saggi” he ora hanno il compito di cercare una soluzione che salvi il movimento dalla scissione, se non dalla dissoluzione. È appena il caso di osservare che per impedire gli esiti cruenti del “duello” è stato apparecchiato un consesso di altri fratelli minori, nel quale compare una sola signora (data dalla stampa per fedele al fondatore).
Sarebbe arduo identificare questi esponenti in base alle loro posizioni politico culturali, per esempio a proposito della misteriosa bozza di statuto elaborata da Conte e che ha fatto perdere le staffe a Grillo, al di là del fatto che siano più o meno vicini all’uno o all’altro dei contendenti, o impegnati in personali percorsi di potere.
Ieri in un interessante scambio nella redazione di Critica Marxista ho ascoltato enunciare l’ipotesi che questa faticosissima, deprimente esperienza della pandemia possa segnare, con tutto quello che l’accompagna, la fine dell’era della “modernità espansiva” come la conosciamo dalla scoperta dell’America.
L’incapacità di rinnovarsi a sinistra, il ritardo di destre prigioniere di visioni autoritarie e illiberali, il ruolo di una tecnocrazia che appare come l’unica soluzione “affidabile”, sono forse anche sintomi locali di un più grande cambio di civiltà. Che le maschere comiche del duello non annuncino un precipizio sempre peggiore di violenze – come togliersi dagli occhi il carcere di S. Maria Capua Vetere, o i morti quotidiani nel Mediterraneo? – dipende dalla capacità di tutti e tutte di rimettersi a pensare. Non dimenticando le dimensioni inconsce, personali e collettive.

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