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relazioni politiche, dal quartiere al mondo

Enrico Letta e il “problema delle donne”

16 Marzo 2021
di Letizia Paolozzi

Non che Enrico Letta, nuovo segretario del Pd, si sia contrapposto con il suo discorso al prevedibile, all’ipotizzabile. Niente che abbia prodotto disordine o scarto. D’altronde, essere disturbante non credo appartenga alle sue corde. Ironico sì, pure vibrante nel nominare molte cose buone, giuste, condivisibili.
Certo che, da cattolico democratico, della sinistra riformista, lascia fuori dall’orizzonte l’idea di comunismo in quanto istanza radicalmente anticapitalistica, mentre è determinato a pensare in grande. Per questo, evita di chiudere il discorso in se stesso e annuncia due settimane di incontri nei circoli per tornare poi all’assemblea nazionale.
Scommette sugli strumenti utili a ridurre la separazione tra partito e società; vuole disegnare una democrazia nella quale gli altri – non solo chi si muove nelle istituzioni – vadano considerati a pieno titolo soggetti della politica.
Dunque, bene “l’anima e il cacciavite”; la citazione di Hannah Arendt; il no a essere “il partito del potere” e al gruppo misto “diventato un paradiso”.
Potrebbe, Enrico Letta, sperimentare una via di uscita da una situazione – nonostante la tragedia della pandemia e forse anche per questo – rigida, impermeabile allo scambio.
Se non fosse per quel difetto, imperfezione, piccola macchia nell’affrontare l’annoso problema (per i partiti del centrosinistra e non solo) delle donne, anzi, dell’imprevisto femminile.
“Il modo in cui si è delineata la rappresentanza al governo dimostra che abbiamo un problema e il fatto che io sia qui, e non una donna, dimostra che c’è un problema e io mi assumerò fino in fondo la responsabilità della questione e la metterò al centro della mia azione” sono le sue parole.
Bé, per aprire una nuova strada o almeno per presentarsi con qualche spostamento dal solito canovaccio del “c’è un problema”, bastava che prendesse ispirazione un po’ in giro, da quei paesi dell’amata Europa dove ci sono premier e segretarie di partito oppure, come per i Verdi tedeschi, si punta – e con successi elettorali che si ripetono – sulla coppia maschio-femmina al vertice.
Secondo il mio personalissimo punto di vista, meglio sarebbe stato se Letta avesse rovesciato il ragionamento perché – temo – il problema non è quello della rappresentanza femminile ma della scontatamente onnicomprensiva prepotenza maschile.

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