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Riaprire gli spazi culturali. Per l’immaginazione e l’intelletto.

12 Dicembre 2020
di Letizia Paolozzi

Chiusi i cinematografi, teatri, sale da concerto, musei. Ancora chiusi – biblioteche pubbliche comprese – dal 25 ottobre 2020 (Dpcm sulle misure restrittive anti-Covid). “Ma oggi la priorità assoluta è tutelare la vita e la salute di tutti, con ogni misura possibile” ha spiegato allora Dario Franceschini, ministro per i Beni e le Attività culturali e il Turismo. Non so quante vite queste misure abbiano salvato. Speriamo molte. Moltissime. I dati però non lo confermano.
Secondo alcune voci (saranno quelle dei diretti interessati?) musei, cinematografi, teatri erano tra i luoghi più sicuri. Mai visto gli affollamenti di un centro commerciale. Piuttosto si trattava di esperienze mistiche. Io e te da soli… Sarà stata quest’aura elitaria, questo sensazione di privilegio (ah vedere un ritratto di Raffaello in sei persone!) a remare contro i luoghi della cultura?
Una nota virologa (Ilaria Capua) ha proposto di praticare le vaccinazioni nei teatri e cinematografi. Vuole trasformarli “in lazzaretti” ritorce l’Anec (Associazione Nazionale Esercenti Cinematografici).
“Lavoreremo perché la chiusura sia più breve possibile e come e più dei mesi passati sosterremo le imprese e i lavoratori della cultura” promise il ministro Franceschini. E certo, ai grandi teatri, alle grandi produzioni il sostegno non manca, ma agli altri, alle altre non resta che impiccarsi perché gli spazi di attività culturali non se li fila nessuno.
Eppure conosciamo degli eroi, eroine in giro per l’Italia, capaci di risvegliare esperimenti liguistici e sociali, suscitare interrogativi, rompere l’isolamento, far assaporare l’autonomia pratica delle scelte se non proprio “un movimento reale che abolisce lo stato di cose presenti” (do you remenber?).
Dopo lo sgombero (in contemporanea con la sede di Forza Nuova a San Giovanni: una questione “di legalità” per la sindaca Virginia Raggi) del Nuovo Cinema Palazzo a Roma “questa piazza è anche nostra” hanno protestato gli abitanti, i frequentatori e Ascanio Celestini, Elio Germano, Valerio Mastrandrea, Assalti Frontali, lo storico Alessandro Portelli. Ah bé, vi sembra “la solita compagnia di giro”? Le vostre proposte per difendere questi luoghi di aggregazione, di incontro, in una giornata di pioggia a catinelle, quali sarebbero?
Pure nei cortili dei palazzi popolari Ater di Primavalle e Quarticciolo cercano (il regista Leonardo Buttaroni, gli attori, gli spettatori) di contrastare l’incertezza della crisi.
Il pubblico è invitato a guardare: “Romeo e Giulietta negli Ater: un amore popolare” dai balconi dei palazzi ex Iacp, che non sono mai stati fotografati da migliaia di giapponesi e indiani, cosa che invece avviene per il più noto balcone veronese dal quale sospiravano i due giovanissimi amanti.
Come avrete compreso, si tratta di un esperimento di teatro portato ai margini, nelle periferie, per scoprire, rinsaldare, ricucire relazioni. Per i malati di solitudine e i carcerati dal Covid: cioè tutti noi.
Mi si obietterà che in questa fase gli italiani hanno altro da pensare che alla cultura. Se un 57,8% ha la convinzione che “meglio sudditi che morti” (dal Rapporto Censis uscito recentemente) e cioè meglio rinunciare alle libertà personali, ai diritti e via discorrendo purché venga garantita la salute collettiva, figuriamoci quanto sarà considerato importante selezionare contenuti, sostenere analisi, esplorazioni, azzardi culturali. Ce ne fosse bisogno, ne abbiamo avuto un assaggio con lo show per l’apertura della Scala.
“Con la cultura non si mangia” sentenziò un ministro del passato. La frase deve essere rimasta impressa all’attuale occupante del dicastero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo il quale, pensando alla competizione mercantilistica della globalizzazione e pure all’esplodere della digitalizzazione, invece di dedicarsi alla riapertura di luoghi dove si stimola l’immaginazione che “è la sorgente della ragione, come del sentimento, delle passioni, della poesia…” (dallo “Zibaldone di pensieri” di Giacomo Leopardi), ha progettato una “Netflix della cultura italiana”, piattaforma “divisa in canali dedicati alle arti”.
L’offerta – non la fruibilità – della cultura a pagamento (sullo stesso piano delle partite di calcio) si immagina dei consumatori (anch’io sono tra loro) che acquistano da Zara oppure all’Ikea? Ma qui si sceglie tra un maglione e una gonna a buon mercato. Che è diverso dal lavoro mentale dove “immaginazione e intelletto è tutt’uno” (ancora Leopardi).
Nei centri della produzione spettacolare, e nei centri sociali delle periferie.

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